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Fotografi

Fratelli Alinari
Fratelli Alinari
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Biografia

(Firenze 1832- Firenze 1921)

La carriera di Leopoldo Alinari (Firenze 1832-Firenze 1865) ha inizio a Firenze presso i calcografi Giuseppe e Luigi Bardi, i quali si rivolgono alla fotografia utilizzandola come nuovo sistema di illustrazione, in sostituzione all’incisione. Nel 1854 i fratelli Alinari, Leopoldo, Romualdo (1830-1899), e Giuseppe (1836-1890) costituiscono una società e da questo momento le loro fotografie recano il timbro a secco ‘Fratelli Alinari Fotografi, Firenze, presso Luigi Bardi’. La produzione di questo periodo si concentra principalmente su panorami, vedute e monumenti, soprattutto di città toscane ma anche di tutta Italia. Nel 1861 gli Alinari partecipano all’Esposizione Italiana di Firenze con ben trentacinque opere e continuano a lavorare nel campo delle vedute e delle riproduzioni d’arte, tanto che decidono di fondare lo Stabilimento Fotografico Alinari: la produzione acquista sempre maggiore impulso e vengono scattate migliaia di fotografie in tutta Italia privilegiando le opere d’arte e l’aspetto monumentale delle città. Dopo la morte di Leopoldo, i fratelli continuano ad occuparsi dello stabilimento fino al 1890, quando la gestione dell'azienda passa a Vittorio (1859-1932), figlio di Leopoldo. A partire dal periodo della direzione di Vittorio, l’attività editoriale dell’Alinari, già praticata con regolarità dal 1888, conosce un nuovo impulso, parallelamente a quella fotografica che viene incrementata attraverso nuove campagne di documentazione artistica e architettonica sul territorio italiano e all’estero. Dal 1893 la Fratelli Alinari si occupa delle edizioni artistiche, spesso ricorrendo ad una raffinata procedura di stampa: la fototipia (o collotipia). La morte del figlio di Vittorio, Carlo, avvenuta nel 1910 a soli diciannove anni, in un momento in cui si stava avviando alla continuazione dell’attività di famiglia, segna profondamente la vita del padre. Nel 1921, un anno dopo la costituzione della Fratelli Alinari Società An. I.D.E.A., a chiusura di questa parabola artistica e visiva, Vittorio suggella il suo instancabile operato artistico e letterario pubblicando un’edizione dedicata ai luoghi della Divina Commedia, illustranti il ‘paesaggio italico dantesco’: con questa opera conclusiva egli corona definitivamente la sua prestigiosa attività e quella di un'intera famiglia di fotografi.

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Gioacchino Altobelli
Gioacchino Altobelli
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Gioacchino Altobelli (Terni 1814- Roma 1880 ca.), fu un pittore e fotografo romano. Fino al 1865 egli condivise lo studio di via Fontanella Borghese con Pompeo Molins, e in seguito si trasferì con Enrico Verzaschi in via di Ripetta, dove rimase fino al 1875. Altobelli fu fotografo ufficiale dell’Accademia di Francia e delle Opere d’Arte per le Ferrovie Romane. Nel 1867 egli partecipò con successo all’Esposizione Universale di Parigi, presentando “sei tavole rappresentanti monumenti di Roma in fotografia, con nuovo sistema privilegiato dal Governo Pontificio”. Altobelli fu tra i primi a fotografare la breccia di Porta Pia, mettendo in posa i soldati per ottenere un'immagine in ricordo dell’avvenimento. Tra i suoi scatti più memorabili si ricorda inoltre la fotografia del tumulo eretto il 17 febbraio 1878 nella Cappella Sistina per le esequie del defunto Pontefice Pio IX.

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Domenico Anderson
Domenico Anderson
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Domenico Anderson (Roma 1854 - Roma 1938) continuò con successo l’attività del padre, il famoso fotografo James Anderson, collocando il prorio studio a Roma in via Salaria 7 all’angolo con via Fiume, nello stabile che diverrà successivamente sede dei grandi magazzini La Rinascente. Le sue campagne fotografiche coprirono tutta l'Italia, documentando capillarmente il patrimonio storico artistico e paesaggistico del paese, ma operò anche all’estero, in particolare in Spagna ed Inghilterra. Nel 1894 partecipò alla Mostra Internazionale di Fotografia di Milano, dove venne premiato con un diploma di I grado. In quello stesso anno ricevette dal Kaiser Guglielmo II l’incarico di fotografare tutti rilievi della Colonna Antonina. Nel 1895 brevettò un sistema per la riproduzione di fotografie a colori. Partecipò alla Mostra Internazionale di Fotografia di Firenze del 1899 e nel 1900 fu vincitore della medaglia d’oro all’Esposizione Universale di Parigi, dove presentò riproduzioni di affreschi e quadri antichi. Guglielmo, Alessandro e Giorgio, tre dei suoi nove figli nati dal matrimonio con Clotilde Sardi, proseguirono il lavoro del padre fino al 1963, quando l’intero archivio Anderson venne venduto, entrando a far parte degli Archivi Alinari di Firenze. Durante l’alluvione che colpì la città nel 1966, circa 15.000 negativi andarono distrutti.

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James Anderson
James Anderson
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James Anderson (Blencarn 1813- Roma 1877), il cui vero nome fu Isaac Atkinson, mostrò sin da giovane un grande interesse per l'arte. Allo scopo di perfezionarsi nella pittura si recò a Parigi, dove assunse un primo nome d’arte: William Nugent Dunbar. Quando, nel 1838, da Parigi si trasferì a Roma scelse definitivamente di farsi chiamare James Anderson e sposò Maria de Mutis, dalla quale ebbe quattro figli. Il suo interesse per la fotografia ebbe inizio nel 1849 e nel 1853 fondò la nota ditta fotografica che già a soli cinque anni di distanza, nel 1859, riuscì nella pubblicazione del suo primo catalogo regolare a stampa. Nel 1862 partecipò all'Esposizione di Londra.

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Ottomar Anschütz
Ottomar Anschütz
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Ottomar Anschütz (Lissa 1846 - Lehonenberg 1907) fu tra gli scienziati che, nella seconda metà dell'Ottocento, iniziarono a studiare le possibili applicazioni tecnologico-scientifiche alla fotografia. Le sue pioneristiche esperienze di studio, relative alla visualizzazione fotografica istantanea, furono molto importanti anche per la futura invenzione del cinematografo. Tra il 1881 e il 1883, quasi contemporaneamente alle ricerche di Eadweard Muybridge e Jules-Etienne Marey, Anschütz eseguì soddisfacenti prove cronofotografiche e riuscì a proiettare in sequenza una serie di ventiquattro fotografie, mediante uno strumento da lui inventato e costruito: il tachiscopio elettrico. Questo apparecchio sovrapponeva, al passaggio di ogni diapositiva, la luce brillante di una scintilla elettrica, conferendo così all’immagine un effetto cinetico e l'illusione del movimento. La società Siemens, affascinata da questo nuovo marchingegno, ne costruì intorno al 1890 settantotto esemplari, ma nel frattempo lo strumento fu superato da tecniche di proiezione più sofisticate, come il kinetoscopio di Edison negli Stati Uniti e infine il cinématographe dei fratelli Lumiére, nato tra il 1894 e il 1895.

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Vincenzo Aragozzini
Vincenzo Aragozzini
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Dopo l’apprendistato presso lo studio del fotografo Luca Comerio, Vincenzo Aragozzini (Milano 1891 – Milano 1975), a soli diciannove anni, apre il suo atelier divenendo un importante punto di riferimento per personalità di spicco dell'ambiente milanese. Inizialmente, la sua produzione fotografica spazia dall’architettura al paesaggio, includendo anche missioni di documentazione degli eventi bellici d'inizio secolo, quali l'occupazione italiana di Tripoli e la prima Grande Guerra, durante la quale diventa fotografo ufficiale del Comando del Corpo d'Armata. A partire dagli anni tra 1918 e 1920, Aragozzini si occupa di fotografia industriale e per la pubblicità, ottenendo la committenza di molte importanti aziende del territorio, quali la SNIA, la Montecatini, la Innocenti, la FIAT, la Philips e la Pirelli. Ingaggiato successivamente dalla Sogene, la Società Generale di lavori di pubblica utilità, realizza per il Comune di Milano un imponente lavoro di documentazione dei nuovi grattacieli e della metropolitana. La seconda metà degli anni '30 vede Aragozzini associarsi con i fotografi Crimella, Camuzzi e Rizzi e realizzare, a partire dal 1937, la documentazione fotografica dello sviluppo industriale della città di Torviscosa. Dopo il 1950 chiude l’accordo con Crimella e inizia a lavorare con il figlio Fulvio, fondando la ditta  'Aragozzini e figli', che dal 1953 è locata in via Borsieri 29 a Milano, e rimanendo al servizio di società e di industrie italiane importanti. 

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Attilio Badodi
Attilio Badodi
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Attilio Badodi (Reggio Emilia 1880 – Milano1967) inizia ad interessarsi alla fotografia nella nativa Reggio Emilia, dove frequenta lo studio di uno zio fotografo. A ventidue anni egli giunge a Milano, attratto dal fascino della metropoli, e sei anni dopo apre il proprio studio fotografico in via Brera 5. In breve tempo, guidato dalla passione per il teatro, Badodi si avvicina ai personaggi dello spettacolo e della cultura fino a far divenire il suo studio un punto di riferimento per la ritrattistica delle celebrità. Tra gli avvenimenti più significativi della sua carriera bisogna ricordare la sua partecipazione alla prima Esposizione internazionale di Fotografia di Torino nel 1922, e la sua presenza come fotografo ufficiale al matrimonio tra Edda Mussolini e Galeazzo Ciano nel 1930. Nel 1965 Badodi, consapevole dell’ormai evidente declino della fotografia di “posa artistica” da studio a vantaggio di un nuovo concetto estetico più istantaneo e basato su nuove tecniche, dichiara di non avere interesse a tenersi al passo con i tempi e cessa la propria attività.

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Vincenzo Balocchi
Vincenzo Balocchi
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Vincenzo Balocchi (Firenze 1892- Firenze 1975) approda alla fotografia dopo essersi laureato in ingegneria presso l'Università di Torino nel 1921. Ritornato a Firenze, sua città natale, egli lavora per alcuni anni presso lo stabilimento fotografico dei Fratelli Alinari, in qualità di direttore. In questi anni matura e affina la sua passione per la fotografia, e così, verso la fine degli anni ’20, Balocchi lascia il lavoro per fondare l'Istituto Fotocromo Italiano, specializzato nella riproduzione fotografica di opere d'arte. Dal 1936 agli anni '60, Balocchi è protagonista delle vicende della fotografia artistica italiana ed è uno dei fondatori del “Gruppo fotografico fiorentino”, del quale ricopre per anni la carica di vicepresidente. Nel frattempo, nel 1948, si assiste al suo inserimento nel gruppo fotografico della “Bussola” costituitosi l'anno prima su iniziativa di Giuseppe Cavalli, Federico Vender, Mario Finazzi, Ferruccio Leiss e Luigi Veronesi, e s'intensifica la sua partecipazione a mostre italiane ed estere, salons e riviste specializzate.

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Carlo Baravalle
Carlo Baravalle
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Carlo Baravalle (Volpedo 1888- Torino1958), avvocato penalista di professione, si avvicina alla fotografia da fotoamatore, partecipando a numerosi concorsi. Nel 1923, insieme a Bricarelli e Bologna, Baravalle rileva la testata milanese de “Il Corriere Fotografico”, rinnovandola e trasferendo la sede a Torino, dove egli vive e lavora come co-direttore della rivista e dell’annuario “Luci ed Ombre”, fino al 1928. A questa data infatti Baravalle si trasferisce a Milano, dove diviene amministratore delegato della Tensi, nota casa produttrice di materiale fotografico. Baravalle si colloca nella corrente del "modernismo-geometrismo", con notevoli insistenze pittorialiste. Il contributo di Baravalle è stato senza dubbio determinante per la fotografia torinese degli anni venti e trenta, sia per l’impostazione artistica, ispirata sia da Guido Rey, sia da pittori come Pellizza da Volpedo (di cui il fotografo era compaesano), sia per la forza compositiva e l’effetto delle luci e delle ombre proiettate dagli oggetti. La sua opera fotografica è caratterizzata dal risalto dei soggetti naturali ed in particolare montani, in cui la fotografia “pastorale” e incantata trova maggiore sviluppo insieme alle immagini flou, che continueranno nella serie dedicata a Varazze e nelle nature morte. Partecipò a molte manifestazioni fotografiche, fu presidente del Gruppo Piemontese per la Fotografia Artistica, prese parte al Secondo Salon italiano d'arte fotografica internazionale del 1928 e fu teorico della fotografia artistica italiana. Il suo amore per la natura è confermato quando, nel dopoguerra, l'impegno con la fotografia gradualmente si affievolisce per lasciare spazio alla sua crescente passione per la floricoltura, cui egli si dedica assiduamente nella sua proprietà a Volpedo.

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Antonio Beato
Antonio Beato
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Di Antonio Beato (? 1825 -? 1903) si hanno scarse e incerte notizie biografiche. La data di nascità è collocabile fra il 1820 e il 1825, e in seguito, divenuto cittadino inglese, egli segue il fratello Felice in India, dove non rimane a lungo se, già nel 1862, risiede a Luxor, in Egitto. Qui Beato avvia uno studio fotografico e, soprattutto tra il 1870 e il 1888, realizza moltissime immagini dedicandosi ad un sistematico censimento di monumenti e resti architettonici e tombali dell’antica civiltà egizia. Egli muore presumibilmente nel 1903, forse senza essere mai più tornato in Europa. Nel 1906 la vedova ha messo in vendita tutte le proprietà del defunto marito, tramite un annuncio pubblicato su molti giornali europei specializzati in fotografia.

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Felice Beato
Felice Beato
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(Corfù ? 1825 ? – Mandalay 1904)

Non è stato fino ad oggi possibile individuare esattamente il luogo e la data di nascita di Felice Beato. E’ stato invece chiarito l’equivoco che ne confondeva l’identità con quella di Antonio Beato, definitivamente identificato come fratello di Felice, anch'esso naturalizzato inglese, grazie alle ricerche di Chantal Edel presso la Bibliothèque Nationale di Parigi, i cui risultati sono stati pubblicati in Italia da Italo Zannier. Dal 1853 l’attività di Felice Beato è documentata a Costantinopoli, dove lavora al fianco del cognato James Robertson, fotografo inglese e direttore della Zecca di Costantinopoli. Nel 1855 Robertson e Felice Beato realizzano una campagna fotografica in Crimea, proseguendo la documentazione del conflitto in atto già iniziata da Robert Fenton. Nel 1857, sempre in compagnia del cognato, Beato si sposta in India, dove fotografa i massacri di Lucknow, mentre nel 1860 la sua presenza in Cina è testimoniata dal reportage di guerra eseguito a Fort Taku. E’ in Cina che Felice Beato incontra l’artista inglese Charles Wirgman, il quale si trasferisce in Giappone nel 1861. Benché non sia dimostrabile che Beato abbia seguito Wirgman in Giappone già in tale data, nel 1863 Felice risulta iscritto allo Yokohama Foreign Settlement e nella città giapponese apre un atelier fotografico destinato ad avere grande notorietà e ad influenzare a tal punto la produzione fotografica locale da configurarsi come una vera e propria “scuola”. Beato instaura inoltre un sodalizio di affari con Wirgman, fondando “The Japan Punch”, il primo giornale giapponese di lingua inglese. Il repertorio di immagini realizzate da Felice Beato durante il periodo di attività in Giappone è documentato dalle due raccolte The views of Japan (1864) e Native types (1868). Secondo Terry Bennet, Felice Beato perde gran parte del proprio magazzino di fotografie nell’incendio di Yokohama del 1866, impegnandosi successivamente a reintegrarlo, fino al 1877, quando vende l’intero archivio all’austriaco Barone von Stillfried. Felice lascia il Giappone nel 1884 e dopo tale data le notizie che lo riguardano si diradano, ma è probabile che si sia dedicato ad attività commerciali diverse dalla fotografia, come testimonia l’ultima notizia nota che lo riguarda e che lo individua nel 1904 in Birmania, dove pare che dirigesse due empori di Arts and Crafts.

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Alphonse BERNOUD
Alphonse BERNOUD
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Alphonse Bernoud (Meximieux, Lione 1820- Lione 1889), il cui vero nome era Jean Baptiste, inizialmente lavorava in Francia come professore di ginnastica. La fotografia divenne la sua prima professione verso il 1845, quando si trasferì a Genova per tentare la fortuna come dagherrotipista itinerante, senza sapere che sarebbe diventato in seguito fotografo della 'Corte Borbonica' e di 'S. M. il Re d'Italia'. Il ritrovamento di alcuni dagherrotipi databili al 1846 e firmati soltanto da Bernoud, o talvolta dallo stesso in società con un certo Lossier, forse anch'egli francese, hanno permesso di datare con precisione l'inizio della sua attività di fotografo agli anni genovesi. La permanenza di Bernoud a Genova, che doveva durare, secondo i suoi avvisi pubblicitari, solo qualche tempo, è invece documentata fino al 1850, a dimostrazione del grande successo che incontrò in questa città, soprattutto presso l'ambiente della nobiltà dove venivano particolarmente apprezzate le sue eleganti esecuzioni. Divenuto un fotografo affermato, a partire dagli anni '50 Bernoud si trasferisce a Firenze, dove prende studio presso il 'Palazzo Nonfinito', al 434 di Santa Maria in Campo, mentre quasi contemporaneamente apre le due succursali a Siena, in piazza S. Petronilla, e a Livorno, al 71 di via S. Ferdinanda. Durante il periodo fiorentino Bernoud mette a punto nuovo metodo di sua invenzione per colorare i dagherrotipi che definisce 'ritratto fotogenico all'acquerello' e di cui si conservano oggi alcune prove, come quella di altissimo livello che dalla collezione Malandrini è passata al Museo Alinari. Nonostante Bernoud si avvalesse di molte altre tecniche fotografiche, a quest'ultima rimase a lungo legato, come testimoniato da una serie di istantanee di animali in movimento presentata all'Esposizione di Parigi del 1857. In Toscana la notorietà di Bernoud crebbe ulteriormente e partecipò all'Esposizione Toscana del 1954, nonché a quella assai più importante di Parigi nel 1855, e in entrambe le occasioni venne premiato con alti riconoscimenti. Sull'onda della notorietà Bernoud intraprese un viaggio che lo portò a Roma, dove scattò molte fotografie dei monumenti più importanti, e a Napoli, dove giunse nel 1856 e dove fondò la sua sede operativa più importante, con studio prima in via del Boschetto della Villa Reale e poi in via Toledo 256, nel Palazzo Berio. A Napoli Bernoud ebbe modo di rivelare la sua complessa personalità artistica, ma non smise mai di viaggiare tra l'Italia, la Francia e la Svizzera, dove aveva un figlio in collegio. Proprio per questo suo frequente contatto con l'estero gli va attribuito il merito di aver importato in Italia tutte le novità in materia di tecnica fotografica, numerose in quegli anni di grande evoluzione del mezzo. In una nota apparsa in occasione del premio ottenuto alla Prima Esposizione Italiana del 1861 a Firenze si legge infatti che "Bernoud è altresì benemerito per avere per primo introdotto in Italia l'uso delle fotografie come carte de visite e quelle stereoscopiche". In particolare nell'ambito di quest'ultima tecnica Bernoud fu un pioniere. Notevoli a questo proposito sono le vedute animate di Napoli, che appaiono estremamente avvincenti e reali per il loro effetto tridimensionale. La catastrofe provocata dal terremoto in Basilicata del dicembre 1857 dette a Bernoud l'occasione di effettuare, con tempestività e lungimiranza, una vasta campagna fotografica delle terre colpite dal sisma. Le stereoscopie scattate in quest'occasione, raffiguranti per la maggior parte Polla e Pertosa, divennero ben presto famosissime, tanto da essere utilizzate dal noto giornale francese dell'epoca "L'illustration" allo scopo di trarne notizie sullo stato del territorio dopo la tragedia. Alla prima spedizione di documentazione ne seguirono altre due, in una delle quali partecipò anche il sismologo Robert Mallet. Il frutto della vendita delle fotografie di queste campagne fu devoluto alle popolazioni colpite dalla catastrofe. Anche i grandi avvenimenti storici del 1860-61, che determinarono la caduta del Regno delle Due Sicilie, furono vissuti da Bernoud in prima linea, a testimonianza di quanto il fotografo fosse apinto dalla volontà di documentare l'attualità. Non solo egli fotografò in maniera esemplare i comandi militari e vari gruppi di ufficiali o di soldati impegnati nei territori annessi o nell'assedio di Gaeta, ma salì persino a bordo di molte navi da guerra ancorate nel golfo di Napoli, realizzando una stupenda serie di immagini che raffiguravano gli equipaggi di navi italiane, inglesi, francesi, austriache, olandesi, ecc. Nel 1861 Bernoud partecipò all'Esposizione Italiana tenuta in Firenze meritando a pieno titolo un'alta onorificenza e per l'occasione effettuò anche una vasta documentazione proprio di questa esposizione, riprendendo con esemplare tecnica gli edifici, le sale e gli oggetti in mostra. Sono molti i lavori eseguiti in questo periodo che testimoniano le sue iniziative e la sua frenetica attività: la realizzazione di un servizio fotografico, poi riunito in album e dedicato a Vittorio Emanuele II, dal titolo Distretti di caccia nelle provincie meridionali; una serie di vedute delle tappe di un viaggio della Marina Sarda; la pubblicazione, nel 1864, de L'Italia contemporanea. Grand'Album di celebrità artistiche, letterarie, diplomatiche, politiche e militari; e nel 1867 l'Album delle battaglie, dei combattimenti ed altri fatti memorabili dell'Indipendenza Italiana dal 1859 al 1866. Nel 1867 Bernoud partecipò all'Esposizione Universale di Parigi con una serie di 40 paesaggi meridionali; e nel 1868 si mise in evidenza anche al Carosello Storico organizzato a Firenze per festeggiare le nozze del principe ereditario Umberto con la principessa Margherita, dove scattò numerose immagini singole e d'insieme. Di pari passo, Bernoud portò avanti la ripresa stereoscopica di molte città italiane e, come altri fotografi attivi in Italia, eseguì anche una bella serie di fotografie di genere dei venditori ambulanti e dei mestieri napoletani, esempio sorprendente della tipica realtà di quei tempi che tanto affascinava gli stranieri. Tra le ultime fotografie importanti scattate in Italia da questo artista sono da registrare quelle eseguuite durante l'eruzione del Vesuvio dell'aprile 1872, dove il fenomeno naturale è fissato in alcune panoramiche sul Monte Somma segnato da immensi vapori e ampie colate laviche. Dopo questa data Bernoud, sentendosi avanti con gli anni e avendo bisogno di condurre una vita meno convulsa, credette opportuno rivendere tutto e fare ritorno in Francia. I suoi studi vennero rilevati da altri fotografi: quello di Napoli, insieme all'intero archivio, venne acquistato da Achille Mauri, quello di Livorno passò ai fratelli Bartolena e quello in Firenze a G. Martucci. Tornato a Lione, Bernoud in un primo momento aprì studio, prima in Rue Camille e poi al 2 di Rue des Archen, esercitando essenzialmente la fotografia ritrattistica fino al 1886. Dopo alcuni anni di inattività, Bernoud morì all'età di 69 anni.

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Nicola Biondi
Nicola Biondi
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La palese attitudine di Nicola Biondi (Capua 1866 – Capua 1929) al disegno e alle arti figurative in genere, unite ad una chiara passione per la natura in ogni sua espressione, ne indussero l’iscrizione all’Accademia di Belle Arti di Napoli dove disegnò, dipinse e sperimentò senza tregua e con ogni tecnica. L’interesse per la fotografia nacque in Biondi come mezzo per approfondire la sua arte principale ed è quindi da considerarsi l’elemento di base per lo sviluppo dei suoi temi pittorici, improntati ad una lettura intimista della vita rurale e pastorale della fine del XIX secolo.

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Louise-Auguste and Auguste-Rosalie Bisson
Louise-Auguste and Auguste-Rosalie Bisson
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Louis-Auguste Bisson (1814-1876) aveva studiato architettura, mentre il fratello minore, Auguste-Rosalie (1826-1900), era controllore dei pesi e delle misure a Rambouillet. La loro carriera nel campo della dagherrotipia ebbe inizio al fianco del padre Louis-Francois, che di professione era pittore, e intorno al 1840 i due esordirono con una loro ditta, talvolta chiamata Bisson Figli, la quale godette di immediati riconoscimenti. Pur non disdegnando  di stampare anche clichés altrui, a quest'epoca i fratelli si dedicano soprattutto alla fotografia artistica di grande formato. In questo modo, i due lavorarono insieme in vari depositi e ateliers parigini fino al 1864, quando il fratello maggiore, Louis-Auguste si ritirò, mentre il più giovane seguitò la sua carriera collaborando dapprima con Léon e Lévy, e poi con Braun. I Bisson sentirono da subito la necessità di farsi conoscere nelle mostre anche a livello internazionale, e l'elenco delle loro partecipazioni a questo genere di manifestazioni è davvero ricco, spaziando da Parigi (1844), a Berlino (1865), a Londra (1855, 1857, 1858, 1859, 1862). La particolarità che distingue il lavoro dei fratelli Bisson è certamente la loro alta professionalità dal punto di vista tecnico. Essi lavorarono sia con i dagherrotipi che con i collodi umidi, secchi e albuminato, lavorando su formati che superavano la grandezza di un metro; inoltre, sperimentarono alcune nuove tecnologie, come l'uso di filtri, un metodo di doratura e argentatura delle lastre tramite l'elettrolisi, praticarono pioneristicamente la fotografia aerea e brevettarono la fotografia su carta trasparente. A questa prolificità tecnica corrisponde un'altrettanto vasta ed eclettica scelta di soggetti che comprende ritratti, paesaggi, avvenimenti, riproduzioni d'arte, archeologia, animali, soggetti scientifici e riproduzioni a scopi industriali. Tra tutta questa abbondante produzione, spiccano le fotografie di reperti naturali degli esordi; i novecento ritratti ai membri dell'Assemblea Nazionale realizzati tra 1848 e 1849; le carte scientifiche a rilievo dell'Europa del 1853; le fotografie di cristalli a illustrazione delle tesi di M. A. A. Gaudin del 1865; le importanti campagne dedicate ai monumenti di architettura in Francia, Germania, Svizzera, Italia e al terremoto nel Valais; la serie di stereoscopie datate tra 1860 e 1869, dedicate alle scalate del Monte Bianco; e infine le vedute dell'assedio di Parigi del 1871, prese sotto la direzione di E. Lacan, al fianco del quale i fratelli Bisson fondarono la Societé française de Psychanalise (S.F.P.).

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Louis Désiré Blanquart-Evrard
Louis Désiré Blanquart-Evrard
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La grande fortuna di Louis Désiré Blanquart-Evrard (Lille 1802- Lille 1872) nell'ambito della fotografia è dovuta al perfezionameto del processo calotipico, ideato nel 1841 da William Henry Fox Talbot. Blanquart-Evrard aveva imparato il procedimento della calotipia nel 1844 da Tannerin, un collaboratore di Talbot, e verso la fine del decennio riuscì a progettare una carta per lo sviluppo che riduceva i tempi di stampa a sei secondi per le fotografie prese alla luce del sole e a trenta secondi circa per quelle prese all'ombra. Questo sistema permetteva di tirare più di quattromila positivi al giorno e originava una maggiore efficienza nel campo delle pubblicazioni. La forte soluzione di tiosolfato di sodio usata per il fissaggio donava ai positivi realizzati col metodo Blanquart-Evrard un caratteristico colore grigio ardesia, contro i toni morati tipici della produzione di Talbot. Nell'estate del 1851 la sua ditta, Imprimerie Photographique, fondata a Lille nel 1850, pubblicava il primo numero dell'Album photographique de l'Artiste et de l'Amateur, di cui il Museo Alinari conserva una copia completamente intatta. L'opera consisteva in una cartella contenente trentasei positivi realizzati col nuovo metodo e che doveva servire da compendio per dimostrare tutte le applicazioni in cui poteva essere d'aiuto la fotografia, oltre a fornire un saggio circa i progressi tecnici del mezzo. Le immagini presentavano soggetti diversi, come riproduzioni di opere d'arte, sculture, monumenti, paesaggi, scene di genere, scatti eseguiti da diversi fotografi di differenti paesi, sempre nello stile delle litografie romantiche e dall'elegante montatura su cartoncino. La vendita di un cospiquo numero di copie dell'album pare abbia indotto Blanquart-Evrard ad ampliare l'anno seguente la sua stamperia, costruendo un vasto edificio, simile ad una fabbrica in cui lavoravano fino a quaranta assistenti, per lo più donne, così da poter avviare il procedimento su larga scala. Senza dubbio uno dei capolavori di Blanquart-Evrard, per la qualità della stampa, è l'album Egypte, Nubie, Palestine et Syrie, contenente centoventidue stampe tratte da negativi presi dal letterato Maxime Du Camp tra il 1849 e il 1852, durante un viaggio in Medio Oriente in compagnia del romanziere Gustave Flaubert. Alla metà degli anni Cinquanta Blanquart-Evrard dovette chiudere la stamperia per ragioni finanziarie, benchè il suo catalogo di opere pubblicate lo avesse reso celebre e molti degli autori calotipisti dell'epoca, come Marville, Green, Le Secq, Sutton e Salzmann, debbano a lui la realizzazione della maggior parte delle loro stampe fotografiche.

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Frederick Boissonnas
Frederick Boissonnas
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Lo svizzero di Ginevra Frederick Boissonnas (1858-1944) proveniva da una famiglia di fotografi presenti nella città da quattro generazioni. Giunto in Grecia nel 1903, egli divenne il più importante fotografo presente su quel territorio agli inizi del Novecento. Nel 1910 realizzò l'album In Grecia attraverso monti e valli e in seguito pubblicò importanti raccolte fotografiche dal titolo L’immagine della Grecia.

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Felix Bonfils
Felix Bonfils
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Dopo essersi dedicato per alcuni anni alla professione di rilegatore, Felix Bonfils (St. Hippolyte du Fort 1831– Alès 1885) inizia a praticare la fotografia e l’heliogravure intorno al 1860, sotto la guida di Niepce de Saint Victor, nipote di Nicephore Nièpce. Nel 1865 Bonfils apre uno studio fotografico ad Alès, nel sud della Francia. Infatuato della bellezza del territorio libanese che visita durante il servizio militare, nel 1867 decide di trasferirsi con la famiglia a Beirut, dove stabilisce la sede del proprio atelier. Qui, con l’aiuto della moglie Lydie, Bonfils sviluppa un’attività di grande successo, tanto che nel 1870 il suo catalogo riporta l’indicazione di 15.000 stampe ottenute da 591 negativi relativi all’Egitto, Siria, Palestina e Grecia, e oltre 9.000 vedute stereoscopiche. Le fotografie, destinate principalmente al mercato dei viaggiatori e degli artisti, erano vendute singolarmente oppure organizzate in raccolte e album. Particolarmente degni di nota sono i cinque volumi dal titolo Souvenirs d’Orient, pubblicati ad Alès nel 1877-78 e contenenti fotografie relative alle maggiori località del mediterraneo orientale, dall’Egitto a Costantinopoli. Dopo la morte di Felix, avvenuta nel 1885, la moglie ed il figlio Adrien portano avanti l’attività dell’atelier fino al 1918, data in cui viene ceduto a Abraham Guiragossian, già socio dal 1909, che continuerà la produzione fino alla chiusura definitiva nel 1938.

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Samuel Bourne
Samuel Bourne
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Samuel Bourne (1834-1910), dapprima impiegato di banca, a partire dal 1857 si dedica alla fotografia professionale. Sulla scia delle grandi spedizioni fotografiche del periodo, volte a documentare territori quasi inesplorati, nel 1863 Bourne intraprende un viaggio in India dove fotografa a più riprese varie regioni e si arrampica sull'Himalaya, accompagnato da trenta coolies che portano i bagagli e l'attrezzatura fotografica a 4500 metri di altezza. In seguito, fonda con Sheperd una società di distribuzione fotografica a Simla e poi, nel 1870, a Calcutta. Quando inizia a dirigere una manifattura di cotone, Bourne si divide tra l’India e l’Inghilterra ma continuerà a fotografare, ogni volta che il tempo glielo consentirà, fino alla fine della sua vita.

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Mathew B. Brady
Mathew B. Brady
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Dal 1844 Mathew B. Brady (New York 1823 – New York 1896) aveva aperto un atelier a Broadway, ma già a partire dal 1847 il grande sviluppo della dagherrotipia che travolse gli Stati Uniti consentì al fotografo di fondare uno studio anche a Washington. A causa della forte richiesta di immagini dagherrotipiche, presto la realizzazione dei ritratti venne affidata ad una serie di operatori e il nome di Brady compariva unicamente nella firma della ditta, a garanzia dello standard di qualità. Nel 1860 Brady pubblicò The Gallery of Illustrious Americans, una serie di dodici ritratti di personaggi famosi americani riprodotti in litografia. Nello stesso anno, Brady eseguì il ritratto del presidente degli Stati Uniti Abramo Lincoln, il quale lo invitò personalmente a documentare, insieme a Gardner e Timothy O' Sullivan, la Guerra di Secessione, realizzando così il primo reportage fotografico di guerra.

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Domenico Bresolin
Domenico Bresolin
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Stabilitosi a Venezia dopo brevi soggiorni a Firenze e Roma, il pittore padovano Domenico Bresolin ( ? 1813 – ? 1899) che il 13 maggio 1830 veniva accolto tra i 'soci d’arte' della veneziana Accademia di Belle Arti, si dedica alla fotografia come strumento di studio funzionalizzato al miglioramento degli esiti della pittura, soprattutto in materia di prospettiva e verosimiglianza. Bresolin esegue stampe fotografiche di alta qualità, caratterizzate da un estremo rigore compositivo, che riprendono monumenti e palazzi veneziani con lo spirito di una sistematica registrazione fotografica, avvalendosi inizialmente della tecnica del calotipo e successivamente di negativi al collodio umido. Nel 1864, nominato Professore di Paesaggio all’Accademia, abbandona l’attività di fotografo per dedicarsi esclusivamente alla pittura e cede il proprio archivio di lastre al fotografo Carlo Ponti.

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Giacomo Brogi
Giacomo Brogi
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Giacomo Brogi (Firenze 1822 –  Firenze 1881), come Leopoldo Alinari, arriva alla fotografia dalla professione di incisore e ritoccatore. Già all’età di undici anni viene impiegato presso l’editore Batelli e frequenta la famosa scuola d’incisione del Perfetti. Passa poi al servizio del calcografo Achille Paris in qualità di ritoccatore e dopo il suo matrimonio avvenuto nel 1846, comincia ad esercitare questa professione in proprio, su commissione della calcografia di Luigi Bardi. Dopo un’attività volta alla stampa di indirizzi, etichette e stemmi, con la quale ottiene una certa fama a Firenze, si associa con un fotografo ritrattista, il quale crea ritratti di persone famose da inserire negli eleganti stemmi di sua produzione. Agli inizi degli anni sessanta decide di abbandonare il suo ignoto socio ritrattista e sotto la guida di Tito Puliti, allora direttore presso il Museo La Specola, fonda la ditta "Giacomo Brogi Fotografo", partecipando già nel 1861 all'Esposizione Italiana di Firenze e pubblicando l'anno successivo il suo primo catalogo di fotografie. Dal 1866 la sede della ditta è registrata sul Lungarno alle Grazie 15, con un punto d'appoggio in Corso dei Tintori 79. Se è vero che il ritratto costituì il repertorio principale della produzione di Brogi, egli non mancò di dedicarsi ai soggetti classici di quel primo periodo della fotografia: il vedutismo e le riproduzioni d'arte e architettura. A questo proposito, è significativo ricordare la celebre campagna fotografica che intorno agli anni '60 lo condusse a visitare la Terra Santa e che sarebbe sfociata nella produzione dell'Album della Palestina, dove le 60 immagini sono accompagnate da testi in italiano e francese come in un reportage. Giacomo regalò una copia di quest'album, oggi dispersa, a Papa Pio IX mentre l'unico esemplare accertato esistente è conservato presso il Museo di Storia della Fotografia Fratelli Alinari. Giacomo, nel giro di un decennio, seppe dare un grande impulso alla ditta, la quale aprì filiali in diverse città, come Roma, Napoli e Bowinkel, e la sua fama, soprattutto come ritrattista, era cresciuta tanto da essere nominato nel 1878 Fotografo del Re. Brogi partecipò anche a numerose Esposizioni degli anni '70, come quelle di Forlì, Vienna e Milano, dove, nel 1881, guadagnò la medaglia d'argento. In quello stesso anno Giacomo morì, lasciando la ditta ai figli Carlo e Alfredo.

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Giorgio Brunner
Giorgio Brunner
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Giorgio Brunner (Trieste 1897 – Trieste 1966) nasce a Trieste ma fin da bambino si trasferisce con la famiglia a Zurigo e tra le montagne della Svizzera inizia la sua attività di escursionista. Nel 1921, a soli ventiquattro anni, Brunner si laurea in ingegneria elettronica e in quello stesso anno ritorna a Trieste, dove la sua passione per la montagna ha un nuovo impulso. Brunner comincia a fare importanti scalate, prima nelle Alpi Giulie e poi su tutto l’arco alpino fino al 1966, quando realizza la sua ultima ascesa alla Creta Grauscaria. L'interesse di Brunner per la fotografia trova quindi la sua naturale espressione attraverso la rappresentazione dei paesaggi alpini, dei quali è profondo conoscitore e che sa interpretare con appassionato lirismo.

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Julia Margaret Cameron
Julia Margaret Cameron
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Nel 1859 Julia Margaret Cameron (Calcutta 1815 – Ceylon 1879) si trasferì da Calcutta, dov'era nata, a Freshwater Bay, nell'isola di Wight, insieme al marito Charles Hay Cameron, un anziano colonnello dell'esercito. Cominciò a dedicarsi alla fotografia in età matura, forse dopo un periodo di depressione, da cui sarebbe uscita proprio grazie all'apparecchio fotografico regalatole dalla figlia nel 1860. Julia fece il suo tirocinio con gli amici che frequentavano la sua casa e che pare si lasciassero convincere dalla forte personalità di Julia a cooperare in qualsiasi momento. D'altronde, il clima che circondava la fotografa era di grande vivacità culturale, dal momento che i suoi vicini di casa erano tra i personaggi più illustri dell'epoca, come il poeta Tennyson, Carlyle, Herschel, Darwin, Browning, Longfellow e soprattutto il circolo dei pittori preraffaelliti. In particolare, fu da questi ultimi che Julia trasse ispirazione per le sue opere, tanto da scrivere in calce ad una sua fotografia: "decisamente preraffaellita". In effetti, al di là della produzione di ritratti di grandi personalità, dove la Cameron s'impegna a "registrare nello stesso tempo la grandezza del loro io interiore e le caratteristiche interiori", nelle fotografie della sua dimensione privata lo stile della Cameron si lascia andare ad un sentimentalismo di indubbia matrice preraffaellita, anche nella scelta dei soggetti e della loro resa. In quest'ambito, le sue fotografie sono per lo più ritratti in costume, tableaux vivants in cui familiari e amici interpretano davanti alla macchina fotografica scene tratte dalla letteratura, allo scopo di esprimere un significato religioso e moralistico. Da questo punto di vista, la Cameron è collocabile tra i protagonisti emblematici della corrente pittorialista, avviata in Inghilterra da Henry Peach Robinson e Oscar Gustav Rejlander (che la Cameron aveva persino invitato a Freshwater Bay perché "le fosse d'aiuto con la sua grande competenza"). Ma ciò che rende unica questa fotografa è l'abbandono della ricerca di “nitidezza” in fotografia. Ciò che Cameron cerca è l'aura poetica e la liricità e per questo si orienta verso la sovversione delle regole tecniche, ricorrendo a qualsiasi mezzo per ottenere gli effetti evanescenti e sfocati che le hanno portato alcune critiche ma che erano pienamente intenzionali. La prima monografia sulla figura tanto complessa di Julia Margaret Cameron venne significativamente compilata ed edita nel 1926, dalla pronipote Virginia Woolf.

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Giacomo Caneva
Giacomo Caneva
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Giacomo Caneva (Padova 1813- Roma 1865) inizia la sua attività nel campo delle arti figurative come pittore prospettico, interessato di architettura e di aeronautica. Nel 1838 si trasferisce a Roma dove si stabilisce definitivamente e, alla fine degli anni quaranta, apprende le tecniche fotografiche ed in particolare la dagherrotipia e la calotipia. E’ del 1847 una sua calotipia, datata e firmata, di Piazza Bocca della Verità che viene considerata la più antica immagine calotipica eseguita da un fotografo residente nella città. Negli anni Cinquanta, Caneva entra a far parte del Circolo Fotografico Romano, fondato dal pittore e fotografo Frédéric Flachéron con l’intento di divulgare nuove tecniche fotografiche e riprendere i luoghi più noti della città, ma la produzione fotografica di Caneva comprende anche vedute della campagna romana e dei costumi tradizionali, oltre a riproduzioni di opere d’arte. Tra gli interpreti della fotografia romana delle origini, Caneva stabilisce un importante sodalizio con Tommaso Cuccioni, di cui redigerà l’inventario del materiale fotografico presente nel suo studio nel 1864. Nel 1855 Caneva fu l'autore di un manuale sugli aspetti tecnici della fotografia dal titolo ‘Della fotografia. Trattato di Giacomo Caneva pittore prospettico.’, a dimostrazione di quanto gli aspetti tecnici fossero importanti per i pionieri del mezzo fotografico.

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Mario Castagneri
Mario Castagneri
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Mario Castagneri (Alessandria 1892-Milano 1940) fu un pittore e fotografo di origine piemontese. Come i suoi fratelli Oreste e Attilio, Mario entrò nel mondo dell'arte studiando presso l'Accademia di Belle Arti di Torino. Fin da giovane egli lavorò come assistente in vari studi fotografici, finché, nel 1915, aprì un suo studio specializzato in ritrattistica, in Corso Garibaldi a Milano. Il coinvolgimento di Castagneri nel mondo dell'arte lombarda lo mise in contatto specialmente con gli artisti dell’ultima "Scapigliatura" e, in seguito, con il movimento futurista, cui aderì. In questa fase della sua carriera di fotografo, Castagneri divenne amico di Marinetti e Depero, dei quali eseguì numerosi ritratti oggi celebri, e si cimentò in tecniche tipicamente avanguardista, come il fotomontaggio e la sovrapposizione. Di particolare rilievo tra le fotografie di Castagneri è la suggestiva serie di immagini, straordinariamente moderne, delle "mani" di artisti, molte delle quali erano di futuristi. Gli anni Venti segnano il culmine della sua carriera. Castagneri divenne infatti fotografo ufficiale del teatro La Scala di Milano, all'epoca sotto la direzione di Toscanini, e qui ritrasse la maggior parte dei cantanti e dei musicisti; inoltre, sempre in questo periodo, aprì un nuovo studio a Milano con due suoi colleghi la cui fama stava crescendo: Crimella e Zani, specializzati soprattutto nel campo della fotografia di architettura. Studiò poi con il brillante Emilio Sommariva, con il quale però entrò presto in competizione. Nel 1924 Marinetti commissionò a Castagneri la documentazione del "Primo Congresso Nazionale Futurista di Milano”. Anche la seconda metà del decennio fu ricca di impegni. Castagneri partecipò infatti a varie mostre fotografiche, fra le quali la mostra nazionale del 1927 a Monza. Nel 1929 Castagneri lasciò definitivamente la fotografia e da allora si dedicò con passione al restauro di dipinti antichi. 

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Giuseppe Cavalli
Giuseppe Cavalli
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Giuseppe Cavalli (Lucera 1904 – Senigallia 1961) fu un uomo poliedrico. Avvocato, uomo di lettere, grande commentatore di Benedetto Croce, cultore di musica e di gastronomia, corridore automobilista occasionale, Cavalli rappresentò un punto di riferimento nell'ambiente culturale italiano della sua epoca. Nell'ambito della storia della fotografia, è ricordato come inoltre il fondatore di due importanti gruppi: ‘La Bussola’ , nato nel 1947, e il gruppo ‘Misa’ di Senigallia, nato nel 1953 e di cui fu tesoriere Mario Giacomelli, sul quale Cavalli esercitò una grande influenza come pure su numerosi altri fotografi italiani. Ebbe divergenze con Paolo Monti, creatore del gruppo rivale veneziano ‘La Gondola’, poiché a differenza di questo, Cavalli aveva una personale idea di poetica, lirica e categorica allo stesso tempo: affermava infatti che il soggetto dello scatto fotografico contava poco, mentre la composizione e il valore di grigi e bianchi avevano per lui una grande importanza. Il merito riconosciuto a Cavalli è quello di aver inaugurato, grazie alle sue conoscenze in materia di tecnica e storia della fotografia, un nuovo dibattito nazionale sul mezzo fotografico, necessario nel difficile periodo della ricostruzione, di fronte ad un'Italia frustrata dagli anni del fascismo e della guerra.

 

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Gustave Eugène Chauffourier
Gustave Eugène Chauffourier
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Gustave Eugène Chauffourier (Parigi 1845 – Roma 1919) fu un fotografo di origine francese che verso il 1860 iniziò la sua attività a Palermo, con la ditta “Photographie parisienne”, fondata in società con Perron. Nel 1870 Chaffourier lavorò a Napoli, ma dall'anno successivo si trasferì definitivamente a Roma, della quale documentò le trasformazioni nel momento in cui la città diveniva capitale d’Italia. Dopo la sua morte, i figli Pietro ed Emilio continuarono ed espansero l'attività paterna fino al 1919. Della produzione, non particolarmente abbondante, di Chauffourier non è stato mai pubblicato un catalogo a stampa e la numerazione dei negativi è stata eseguita dal figlio Pietro, secondo i criteri archivistici del tempo. Il materiale fotografico conservato fra Roma e Firenze, che comprende vedute, monumenti e opere d’arte di varie città italiane, è stato però disgraziatamente danneggiato, e in parte distrutto, dall’alluvione di Firenze del 1966.

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Henry Bres Chouanard
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Henry Chouanard (Nizza 1883-Parigi 1936) si forma a Parigi come ingegnere, diplomandosi all’École Centrale Polytechnique e presto si interessa alla tecnica degli autochrome messa a punto dai Fratelli Lumière. Dal 1907, anno della prima commercializzazione di questa nuova tecnica, Chouanard realizza i suoi primi cliché, in occasione di un viaggio in Marocco. Gli autochrome di Chouanard sono le prime testimonianze fotografiche del Marocco, precedenti anche a quelli del 1911 conservati alla Fondazione Albert Kahn di Boulogne. L’opera di Chouanard copre tutto l’arco cronologico di utilizzazione della tecnica ed è significativa per la coerenza stilistica. Alinari conserva nei suoi archivi gli autochrome, attraverso i quali ci sono restituite, oltre alle vedute del Maghreb dell’inizio del XX secolo, immagini di rara bellezza di tutti i paesi d’Europa. 

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Charles Clifford
Charles Clifford
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Charles Clifford (1800 – 1863) fu un fotografo di origine inglese che, dopo aver effettuato un primo viaggio in Spagna nel 1851, si stabilì a Madrid l'anno seguente. Grazie ad un ritratto fotografico fatto alla Regina Isabella, Clifford fu benvoluto e protetto dalla corte spagnola. Ma in Spagna, oltre al genere ritrattistico, eseguì anche numerose riprese di paesaggi e di monumenti, facendo conoscere all'Europa la realtà di un paese rimasto fino ad allora chiuso e piuttosto inaccessibile. Quando mostrò le sue immagini alla ‘London Photographic Society’, Clifford suscitò l’ammirazione della Regina Vittoria, la quale ne acquistò in gran numero per la collezione di Windsor; inoltre, durante un successivo soggiorno in Gran Bretagna nel 1861, la sovrana inglese gli commissionò la realizzazione di un suo ritratto fotografico, allo scopo di riprodurlo in pittura. Alla fine la regina giudicherà migliore la versione fotografica di Clifford.

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Luca Comerio
Luca Comerio
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Interessato all’arte fin dalla giovane età, Luca Comerio (Milano 1878 - Milano 1940)apprende i rudimenti della fotografia frequentando lo studio del pittore-fotografo Belisario Croci e nel 1894 inizia la propria attività acquistando una macchina fotografica. Il primo lavoro a cui si dedica, un ritratto scattato di nascosto al re Umberto I durante una visita a Como, porta già l’impronta della futura produzione di Comerio, orientata alla documentazione dei fatti di cronaca nella direzione di un pioneristico fotogiornalismo. Nel 1898 sarà quindi in prima linea per riprendere in diretta i momenti salienti dei tumulti operai di Milano, realizzando un servizio fotografico poi pubblicato sulla rivista "L’Illustrazione Italiana". Spinto dal proprio interesse per il fare informazione attraverso le immagini, Comerio affianca all’attività di fotografo quella di cineasta, fondando a Milano nel 1908 la ‘Società Anonima Fabbrica Films Italiana Luca Comerio’ e nel 1910 la ‘Comerio Films’. Sempre nel 1908, Comerio accorre a Messina e Reggio Calabria per documentare i danni provocati dal terremoto di quell'anno, mentre nel 1911 registra gli eventi bellici in Libia, sia con fotografie che con filmati. Divenuto fotografo della Real Casa, Comerio espande la propria attività cinematografica con produzioni sempre più impegnative che lo portano a compiere ingenti investimenti. Tuttavia, allo scoppiare della prima guerra mondiale, il giornalismo visivo conosce uno sviluppo senza precedenti e la concorrenza che ne deriva rende difficile la sopravvivenza di tutti gli operatori. Alla fine della guerra le difficoltà finanziarie costringono quindi Comerio a chiudere l’attività cinematografica e dopo il 1920 cessa anche la produzione fotografica.

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Giulio Corinaldi
Giulio Corinaldi
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Giulio Corinaldi (1905-1973) si laureò in chimica, ma fin da giovane si appassionò alla fotografia e dotato di apparecchio viaggiò a lungo in Italia, Francia, Inghilterra, Grecia, Spagna e Israele cercando di cogliere con il suo obiettivo i luoghi più suggestivi e poetici di ogni paese. Fu a Venezia però che l’autore dedicò gran parte della sua ricerca fotografica, indagando attraverso la luce, l’inquadratura e la tecnica, un soggetto tanto affascinante quanto difficile. La poetica di Corinaldi insegue un ideale di bellezza e armonia, nella convinzione che “la fotografia nelle mani di un artista deve poter essere anche espressione di poesia e di fantasia, deve creare un universo poetico”. In anni di intenso impegno della fotografia italiana sul versante ideologico e sociale – con riferimento costante alla lezione del fotogiornalismo mondiale – Giulio Corinaldi scelse piuttosto la strada del documentario poetico: il suo obiettivo privilegia il volto della gente comune e modesta, si sofferma sull’atmosfera dei luoghi accettando, così, la sfida imposta dal banale e dal quotidiano. Il punto di riferimento di questa scelta è la fotografia umanista di stampo francese del secondo dopoguerra, mediata dal rigore formale di Werner Bishof. Il prezioso archivio fotografico di Giulio Corinaldi è costituito da 1719 stampe originali – per lo più di formato 30x40 in b/n e colore – realizzate nel corso della sua attività di fotografo amatoriale.

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Giovanni Crupi
Giovanni Crupi
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Giovanni Crupi (Taormina 1859 - Taormina 1925) fu un fotografo attivo tra Messina e Taormina dal 1885, noto alla storia della fotografia soprattutto per essere stato ripetutamente indicato come colui che iniziò il più famoso Wilhelm von Gloeden alla tecnica fotografica. Dal 1901 al 1910, Crupi fu attivo in Egitto ad Heliopolis, mentre in questo periodo il laboratorio fotografico taorminese proseguì l’attività grazie al nipote Francesco Galifi. Le vedute eseguite da Crupi nei siti archeologici di Taormina, Siracusa ed Agrigento rivelano un carattere individuale marcatamente poetico e dimostrano una pregevole qualità fotografica, permettendo di individuare in Crupi una personalità di rilievo, il cui studio meriterebbe d'essere approfondito.

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Antonio D'Alessandri
Antonio D'Alessandri
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(L’Aquila 1818- Roma 1893) fu un sacerdote aquilano che, di ritorno da un viaggio a Parigi nel 1851, fece conoscere nell'ambiente romano la tecnica del collodio umido. Dal 1856 al 1865 egli aprì un proprio atelier e, negli anni tra il 1865 e il 1890, si associò al fratello Francesco Paolo (L’Aquila 1824- Roma 1889). E’ questo il periodo in cui lo studio dei fratelli D'Alessandri conobbe una maggiore espansione, tanto da spingere i due ad aprire una succursale a Napoli. Lo studio dei Fratelli D’Alessandri si affermò soprattutto tra la nobiltà romana, tra i dignitari della Corte Pontificia, ed anche alla corte borbonica, trasferitasi a Roma nel 1862 dopo l’assedio di Gaeta. Antonio fu senz'altro il più celebre dei due fratelli: divenne 'Fotografo Pontificio' ed eseguì numerosi ritratti di Papa Pio IX, che gli procurarono vasta notorietà; inoltre, in quanto membro dal 1864 della Societé Francaise de Photographie, fu in ottimi rapporti con Nadar, che lo onorò della sua stima e amicizia. Lo studio dei fratelli D'Alessandri partecipò inoltre a numerose esposizioni, tra cui l'Esposizione di Firenze del 1861, quella di Roma del 1870, quella di Milano nel 1881 e infine l’Esposizione delle Arti e dell’Industria di Roma del 1890, dove i fotografi vennero premiati con la medaglia d’argento.

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Gian Carlo Dall’Armi
Gian Carlo Dall’Armi
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Attivo a Torino a partire dall’inizio del secolo, Gian Carlo Dall’Armi (Torino 1881- Torino 1928) partecipò con fervore alle iniziative torinesi nel campo della fotografia di quegli anni, ottenendo una discreta fama, tanto che nel 1909 due suoi scatti furono pubblicati sulla rivista "La Fotografia Artistica". L'opera di Dall’Armi si distingue per l'eterogeneità dei soggetti: dalla ritrattistica accademica alla riproduzione d’arte e di architettura, al reportage d'impegno sociale, come la serie di immagini documentarie sulla Fabbrica Italiana Proiettili, scattate nel 1920. Non a caso, il critico Italo Mario Angeloni, riferendosi alle fotografie presentate da Dall’Armi alla “Prima esposizione internazionale ottica e cinematografica” del 1923, le definì come “un materiale molto vario”. L’attività dello studio di Dall’Armi proseguì sino al 1951, sotto la conduzione della moglie Giovanna Andrate.

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Celestino Degoix
Celestino Degoix
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Celestino Degoix (1860 - 1890) fu un fotografo di origine francese attivo a Genova. Iniziò la sua carriera intorno al 1850, negli anni in cui nella città stavano fiorendo i più importanti studi fotografici del tempo, come quello di Ciappei, di Giovanni Battista Sciutto e di Alfred Noack, giunto da Dresda e senza dubbio il fotografo di punta a Genova. Degoix, che per un certo periodo ebbe uno studio ubicato in via Nuovissima 7, in società con un certo Hodcend, si dedicò in particolare alla fotografia di paesaggi liguri e alle vedute panoramiche che costituiscono un affascinante documento relativo a quelle terre. Nel 1875  Degoix divenne fotografo ufficiale del Museo di Storia Naturale di Genova alla Villetta di Negro, in seguito alla realizzazione di un consistente catalogo di fotografie entomologiche di soggetti naturali, piante e animali, ancora oggi utilizzato a molti livelli di studio. Ecco perché la figura di Degoix dev'essere necessariamente inserita nella storia della fotografia della seconda metà del XIX secolo, momento storico in cui i fotografi in Italia erano pochi e difficilmente riuscivano a promuovere l'importanza del mezzo fotografico per gli studi scientifici e sociali del tempo.

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André Adolphe Eugène Disderi
André Adolphe Eugène Disderi
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André Adolphe Eugène Disderi (Parigi 1819 – Parigi 1890), come altri fotografi delle origini, giunse alla “nuova arte” della Fotografia mentre studiava Pittura. Nonostante la sua produzione ebbe inizio già nel 1848, la sua popolarità esplose solo sei anni più tardi, quando giunse a Parigi e aprì un suo atelier nel Boulevard des Italiens, entrando in concorrenza persino col celeberrimo Nadar. Il motivo del successo di Disderi fu senza dubbio la sua grande invenzione, che inferse un colpo mortale alla tecnica dagherrotipica allora in voga: la fotografia carte-de-visite, la quale si avvaleva della tecnica al collodio e fu brevettata da Disderi nel 1854. Per ottenere questi piccoli ritratti di circa 10 X 6 cm, Disderi realizzava prima il negativo su lastra umida, utilizzando uno speciale apparecchio fornito di quattro obiettivi e di un portalastre scorrevole. Su ciascuna metà della lastra si facevano quattro esposizioni, perciò da ciascun negativo si potevano trarre otto immagini in pose diverse. Il lavoro conveniva economicamente e non richiedeva una particolare perizia: la produzione del fotografo e dello stampatore veniva così moltiplicata per otto. Disdéri diffuse in tutto il mondo il suo sistema di ritrattistica in serie, avviando quel processo sociale che allargò a tutti i ceti sociali la possibilità di farsi ritrarre, alla pari di quanto accadde con la stereoscopia nel commercio dei souvenirs di viaggio. Negli anni che seguirono la fama di Disderi, uomo brillante e già molto in vista, crebbe ulteriormente, tanto che, nella testimonianza di un visitatore tedesco, lo studio del fotografo era "un vero tempio della Fotografia; un luogo unico per lusso ed eleganza. Egli vende giornalmente ritratti per un valore dai tre ai quattromila franchi". Egli giunse ad ottenere i consensi e i favori dell'Imperatore Napoleone III, a sua volta appassionato di fotografia e suo affezionato cliente (anche perché il fotografo suo concorrente, Nadar, era un fervente repubblicano). Nonostante Disdéri si fosse dedicato anche alla fotografia di genere folkloristico, la ritrattistica rimase il fulcro della sua produzione, tanto che definì persino un suo schema fotografico specifico per le immagini d'atelier: le persone venivano riprese a figura intera contro sfondi e scenografie che dovevano in qualche modo gratificare i soggetti in posa. E dunque, la presenza di mobili e soprammobili di alta qualità consentiva al cliente di assumere un ruolo sociale di prestigio, non sempre corrispondente alla realtà. In breve però, la crescente popolarità della carte-de-visite, ormai praticata dai fotografi di tutto il mondo, rese Disderi una vittima della sua stessa invenzione: nel 1877 egli cedette lo studio e l'archivio ai colleghi parigini Pougnet e Délié e nel 1890 morì in un ospedale della capitale francese, cieco, sordo e senza un soldo.

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Alessandro Duroni
Alessandro Duroni
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Alessandro Duroni (Canzo 1807-Milano 1870) fu una figura di ottico e scienziato versatile. Dal 1837 egli fu il titolare di un negozio di ottica con deposito di strumenti di fisica e chimica, a Milano. La sua attenzione per tutte le novità nel campo della sperimentazione scientifica lo portò ad interessarsi da subito alla fotgrafia, praticata allora con la tecnica dagherrotipica, della quale intuì le ancora inesplorate potenzialità. Nel novembre 1839, Duroni fu il primo ad importare l’apparecchio di Daguerre a Milano, e con questo realizzò le prime vedute della città in dagherrotipia. In seguito egli seppe espandere la propria attività, affiancando al negozio di ottica uno stabilimento fotografico, dotato di un apposito locale per eseguire i ritratti, i quali diventeranno la sua specialità. Infatti, nel 1845 Duroni curò l’edizione tradotta del Trattato di Marc Antoine Gaudin, dedicato all’applicazione della dagherrotipia ai ritratti e ai perfezionamenti tecnici che consentivano di ridurre notevolmente i tempi di posa. La raffinatezza dei ritratti eseguiti da Duroni rese celebre l'atelier, che divenne uno dei più rinomati di Milano, riunendo letterati, artisti e politici; inoltre, Duroni venne insignito del titolo di “fotografo di S.M. il Re”. Negli anni Sessanta, il suo interesse scientifico e tecnico lo portò a cimentarsi anche con i ritratti su carta salata e all’albumina. Nel 1866 cedette definitivamente l’attività a Icilio Calzolari.

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Luciano Eccher
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Luciano Eccher (1928-2007), alpinista e fotografo, arrivò alla fotografia dalla sua grande passione per la montagna, uno dei soggetti da lui prediletti insieme alla fotografia d'arte, interesse in comune con il figlio Nicola. Scelse infatti per i suoi scatti molte suggestive opere di pittori, per lo più divisionisti e futuristi, documentando un importante momento della storia dell'arte italiana. Negli anni Ottanta iniziò una collaborazione con la Provincia per la catalogazione dei beni storico-artistici del Trentino, molte delle fotografie dell’EPT (Ente Per il Turismo) che promuovono l’arte e il turismo in Trentino provengono proprio da suoi scatti. Fu protagonista, assieme al compagno di scalate Cesare Maestri, di una delle imprese che fecero la storia delle Dolomiti di Brenta: durante una scalata, il 10 luglio del 1954, rischiò la vita scivolando e rimanendo sospeso nel vuoto. Con un grande gesto di coraggio Eccher chiese all'amico che lo sorreggeva di mettere in salvo almeno la sua vita tagliando la corda, ma fortunatamente questa si bloccò ed impedì il peggio. Tra le altre numerose imprese alpinistiche si ricorda anche la partecipazione alla prima spedizione trentina in Patagonia tra il 1957 e il 1958.

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Peter Henry Emerson
Peter Henry Emerson
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Peter Henry Emerson (La Palma, Cuba, 1856 – Falmouth 1936) intraprese vari studi per approdare infine a quelli medici, ma abbandonò precocemente tale carriera per dedicarsi appassionatamente alla fotografia e alla saggistica sull'arte, ufficialmente a partire dal 1882. Il suo impegno nell’ambito della cultura fotografica del tempo fu innanzitutto teorico: proponeva con le sue romantiche immagini una fotografia apparentemente spregiudicata, perlomeno nella negazione della nitidezza, sostenuta invece da Robinson e Rejlander, pionieri del pictorialism “nettista”. Emerson rimase suggestionato in particolare dai pittori impressionisti francesi che trattavano il soggetto in maniera ”sfocata”, la gestualità e l'apparente imprecisione del segno grafico erano in pieno contrasto con la leziosità di molti artisti preraffaelliti, in voga in quel periodo in Inghilterra, il cui equivalente in fotografia era rappresentato soprattutto dall’opera di Robinson. Emerson offrì un'ampia saggistica per sostenere, dal punto di vista fisiologico dell'occhio umano, la singolarità percettiva che implica la “sfocatura” come elemento realistico dell'immagine. Egli teorizzò la necessità della sfocatura in fotografia, perchè questa "non deve mostrare necessariamente la verità, ma ciò che vede l’occhio umano" e soprattutto chiese ai fotografi più attenzione verso il paesaggio naturale, la luce “naturale”, da cogliere senza manipolazioni, utilizzando soltanto le possibilità espressive specifiche del nuovo mezzo. Da questo punto di vista la fotografia si carica nuovamente delle aspettative rinascimentali, con il ritorno dell’atmosfera leonardesca e l’impressione unitaria che prevale sulla “spettacolarizzazione” del particolare. Il suo saggio fondamentale, che influenzerà il magistrale fotografo americano Alfred Stieglitz, è ‘Naturalistic Photography for Students of the Art’ (1889). Negli ultimi anni, forse deluso o depresso, smentirà sarcasticamente la sua teoria, pubblicando il breve saggio ‘The Death of Naturalistic Photography’.

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Stabilimento Ferruzzi
Stabilimento Ferruzzi
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Ferruzzi fu uno stabilimento di Venezia con sede in Calle Tagliapietre. La Ferruzzi nacque nel decennio tra il ’20 e il ’30 raggiungendo l’apice economico-produttivo negli anni ’50 e ’60. La ditta terminò la sua attività tra il 1975 e il 1980. Le fotografie Ferruzzi documentano più di cinquanta anni di storia e di vita cittadina attraverso immagini di cronaca, avvenimenti di carattere culturale (mostre d’arte, feste) arti e mestieri di strada, attività produttive e industriali (per citarne alcune la Manifattura Tabacchi di Venezia e le fonderie di Marghera), vedute aeree. Oltre a Venezia, la città maggiormente rappresentata, sono documentate numerose località limitrofe. Gli scatti Ferruzzi si connotano per la lucida visione dell’immagine e il fascino dell’istantanea nel catturare momenti di vita cittadina, eventi, personaggi. Particolarmente interessante la documentazione relativa al costume ed alla società nel corso di cinquant’anni di storia caratterizzati da rapidi e profondi cambiamenti culturali e sociali.

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Frèdèric, Conte Flachéron
Frèdèric, Conte Flachéron
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Il nome del nobile francese Flachéron (Lione 1813 – Parigi 1883) è indissolubilmente legato alla storia delle origini della fotografia a Roma. Fu infatti una delle figure più influenti della Scuola Romana di Fotografia, intorno alla quale, tra il 1847 e il 1853, confluirono molte personalità artistiche nazionali ed internazionali che riconoscevano nella fotografia e nella tecnica della calotipia un linguaggio estetico comune. Tra i protagonisti di questo panorama si possono citare Giacomo Caneva, James Anderson, Alfred-Nicolas Normand e Eugène Costant. Giunto a Roma nel 1839, dopo aver svolto studi di scultore medaglista alla Scuola Reale di Belle Arti a Parigi, consolidò il suo legame con l'ambiente artistico francese che gravitava intorno a Villa Medici e soprattutto con il pittore Ingres. Le sue prime fotografie risalgono al 1848: Flacheron si applicò a questo genere di riproduzione per cinque anni, realizzando una serie di stampe fotografiche che testimoniano il suo interesse nei confronti della veduta monumentale e archeologica, oltre che delle rovinose conseguenze degli avvenimenti romani del ´49. Le sue stampe fotografiche sono caratterizzate da una straordinaria ricchezza e luminosità di toni, apprezzate già dai suoi contemporanei in occasione delle varie esposizioni a cui partecipò.

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Mario Gabinio
Mario Gabinio
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Funzionario delle Ferrovie dello Stato, Gabinio (Torino 1871-Torino 1938) è ricordato come uno dei più interessanti fotografi italiani tra Otto e Novecento. Inizia infatti la propria attività come fotografo amatoriale negli anni novanta dell’Ottocento, dedicandosi principalmente alla fotografia di montagna, soggetto che caratterizza un significativo corpus all'interno della sua produzione. Dal 1890 collabora con il geologo Sacco eseguendo riprese destinate ad accompagnare testi di divulgazione scientifica. Nel 1903 molte delle sue immagini corredano il volume di Carlo Reynaudi dedicato alla Valle D'Aosta, mentre più avanti negli anni, nel 1934, numerose fotografie saranno inserite nel volume di Federico Scacco dedicato alle Alpi, assieme ad immagini d'autore: da Vittorio Sella a Jules Brocherel, da Giorgio Sommer a Vittorio Besso. L'ambiente del Club Alpino Italiano, quello dell'Unione Escursionisti, e non utimo dello Ski Club Torino (fondato, tra gli altri, da Gabinio stesso) hanno avuto un'importanza fondamentale per la formazione e la carriera del fotografo. Dai primi decenni di attività lo sguardo di Gabinio è rivolto alla realtà extraurbana delle valli attorno a Torino, come pure alle emergenze monumentali ed ai primi segni della nascente industrializzazione, secondo percorsi che rappresentano veri e propri “viaggi per immagini”, raccolte in più di quaranta album contenenti ciascuno centinaia di fotografie. Negli anni '20 aveva iniziato a realizzare alcune tra le immagini cui deve la sua notorietà: si tratta di fotografie che documentano capillarmente la città di Torino e che esprimono appieno le sue capacità tecniche e la sua sensibilità artistica. Sono immagini di veduta urbana e documentazione architettonica della “Torino scomparsa”. L'interesse di Gabinio per il patrimonio architettonico risale al 1900, anno in cui presenta il ciclo di immagini sulla città che scompare all'Esposizione Fotografica di Torino, lavoro con il quale viene premiato dal Municipio per il suo valore di testimonianza artistica e archeologica. L'attività di Gabinio, inizialmente amatoriale ma già di grande qualità, si trasforma negli anni Venti: l'attenzione si rivolge ai grandi cantieri architettonici e urbani ed alle opere di ingegneria, e la documentazione (realizzata su committenza di imprese ed architetti, oltre che per la Rassegna Municipale “Torino”) segue le trasformazioni urbanistiche fase per fase, con risultati esaustivi ed una crescente coscienza del linguaggio fotografico. Gabinio segna, con la sua opera, il passaggio cruciale dalla cultura ottocentesca dell'immagine ottica, orientata alla celebrazione dei valori documentari, alla soggettività della nuova visione propria del moderno, sullo sfondo della “città-laboratorio” che era Torino, centro principale della cultura fotografica italiana dell'epoca. Le sue fotografie sono affascinanti e rigorose, giocate su relazioni lievi tra superfici quasi immateriali e e segni netti e rigorosi, che ben si prestano all'invenzione figurativa e artistica, restituendo con precisione analitica i segni dell'uomo e la materia di cui sono fatte le cose. Partecipa a numerose esposizioni nazionali in seno alle associazioni fotografiche ALA (Ad Liberas Alpes) e AFI (Associazione Fotografica Italiana) ed internazionali (Boston, Londra, Ottawa, Parigi, Metz) portando avanti un’intensa attività espositiva fino alla fine della propria vita.

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James Graham
James Graham
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La maggior parte delle stampe fotografiche delle Raccolte Museali della Fratelli Alinari si riferiscono ad un album di viaggio in titolato “Italy”, realizzato dal fotografo scozzese James Graham (1806 - 1869), e dedicato alla sorella Elisabeth nel 1864, di ritorno dalla sua lunga permanenza a Gerusalemme dove abitò dal 1853 al 1857 svolgendovi l’attività di fotografo. Egli fu strettamente legato all’ambiente artistico preraffaelita dei pittori Thomas Seddon e William Holman Hunt per i quali realizzò alcune fotografie poi utilizzate per i loro lavori pittorici. Le fotografie del viaggio italiano sono databili tra il 1858 e il 1864 e sono tutte stampe all’albumina da negativi di carta, che mostrano un uso tardo di questo tipo di negativo da parte del fotografo. Graham infatti si riconosceva maggiormente in questa tecnica, più consona alla sua formazione pittorica, per l’interpretazione dei luoghi del suo itinerario artistico e monumentale in Italia e soprattutto nel sud della penisola. Il suo viaggio segue un percorso insolito, che partendo da Torino raggiunge Firenze e si porta direttamente verso il capoluogo partenopeo, soffermandosi a lungo sulla città e i suoi dintorni, saltando invece ogni riferimento a Roma. Nel territorio di Napoli egli rimane affascinato non solo dalla monumentalità archeologica di Pozzuoli, Pompei, Ercolano, ma soprattutto dalla grandiosità della natura, sovrastata dalla presenza del Vesuvio, cui dedica una straordinaria sequenza fotografica. Le fotografie di Graham sono estremamente rare poiché l’autore non aveva riferimenti commerciali per la loro vendita. Alcune delle sue fotografie vennero mostrate in occasione dell'Esposizione di Belle Arti a Parigi, presso il palazzo dell’Industria, nel 1859.

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Anton Hautmann
Anton Hautmann
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Figlio dello scultore Joseph, Anton Hautmann (Monaco di Baviera 1821-Firenze 1862) è attivo a Firenze dalla fine degli anni Cinquanta. Formatosi come pittore all’Accademia di Belle arti di Monaco di Baviera, giunge in Italia nel 1874 grazie a una borsa di studio per un soggiorno a Roma. Nel maggio del 1849, a causa dell'occupazione francese, si trasfersce stabilmente a Firenze presso Raffaello Metzger, pittore, incisore e collezionista: nel 1851 Hautmann apre uno studio di scultura in Via della Scala che dal 1858 diventa sede del suo Stabilimento fotografico. Da questo momento si dedica alla fotografia, realizza un catalogo commerciale di “vedute stereoscopiche”, studi pittorici di paesaggio e di figura presi a fermo ed istantaneamente, ed un numero esteso di riproduzioni di uomini illustri e oggetti d’arte. Oltre a ciò la sua produzione è nota per le carte de visite e per gli studi pittorici, caratterizzati da paesaggi rocciosi, studi di nuvole, inquadrature di ambienti rurali e scene domestiche, nei quali si concentra la ricerca della luce e delle ombre, fortemente accentuate, che creano dei netti contrasti di chiari e scuri, pieni e vuoti. Dopo la sua morte lo Stabilimento viene diretto inizialmente dalla moglie Elena e poi dal figlio Giovanni che lo trasforma in galleria d'arte. Sono numerose, nella letteratura dell'epoca, le notizie relative alla sua attività di scultore, documentata fotograficamente da Bernoud, così com'è nota la sua importanza nella storia della fotografia italiana. Nel 1978 Piero Becchetti parla di lui come di “uno dei migliori fotografi operanti a Firenze al tempo del collodio”. La rilevanza di questa figura e della sua opera, poco conosciuta, è evidenziata anche da Emanuela Sesti e Roberto Gargiani, mentre in una nota anonima del catalogo della mostra sulla “Fotografia italiana dell'Ottocento” del 1979, relativa alla fotografia in Toscana, viene scritto di lui “Tipico è il caso di un fotografo noto come dilettante, Anton Hautmann, parente di quel Metzger attivo già a Firenze negli anni Cinquanta e probabilmente da lui iniziato alla fotografia”.

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David Octavius e Robert Hill & Adamson
David Octavius e Robert Hill & Adamson
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Tra i più grandi interpreti della calotipia furono il pittore David Octavius Hill (Perth 1802 – Newington 1870) e il fotografo e chimico Robert Adamson (Burnside 1821 – St. Andrew 1848), entrambi di Edimburgo, uniti in un sodalizio artistico che diede risultati di ineguagliabile qualità. La loro collaborazione nacque nel 1843, quando a Hill venne commissionato dalla Libera Chiesa di Scozia la realizzazione di un enorme quadro che doveva rappresentare il ritratto dei 470 componenti che avevano abbandonato la Chiesa Scozzese. Per compiere questo imponente lavoro l'apparecchio fotografico risultò lo strumento più adatto e da quel momento l'attività ritrattistica dei due, che realizzarono alcuni tra i più bei ritratti della storia della fotografia, divenne predominante. Ogni personaggio ripreso da Hill e Adamson veniva colto in atteggiamenti estremamente naturali: i fotografi erano in grado di leggere nell'espressione del viso di ogni soggetto il carattere più nascosto della persona e tradurlo sulla carta grazie ad un sapiente gioco di contrasti tra masse bianche e nere del volto, luci e ombre che si ripetono in ogni parte del ritratto, sulle mani, sugli abiti, sullo sfondo, creando degli effetti drammatici. Non ricercavano il dettaglio nè la perfezione del particolare, prerogativa del dagherrotipo, ma l'effetto che solo il negativo di carta poteva dare: la suggestione del chiaroscuro, di luci ed ombre, molto più vicina al disegno e alla pittura. Il loro sguardo fotografico immortalò non solo personaggi dell'alta società, ma anche figure più popolari, come marinai, pescatori, contadini e paesaggi della Scozia, in un perfetto connubio tra tecnica e ricerca artistica. Dopo la prematura morte di Adamson ventisettenne, Hill tornò alla sua carriera di pittore, avendo perso quel naturale e perfetto equilibrio che solo insieme al suo compagno, grazie al sapiente uso dell'apparecchio fotografico, aveva fatto sì che fossero celebrati come Maestri della storia della fotografia.

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Vincenzo Howells
Vincenzo Howells
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Pittore e fotografo di origine inglese, come indica chiaramente il cognome, Vincenzo Howells (1826-1926) era italiano di adozione. Non si conosce molto della sua biografia, è certo che ad un certo punto della sua vita si trasferì in Italia, dove si appassionò alla fotografia e si dedicò alla documentazione di lavori campestri, usi, costumi e tradizioni degli abitanti e dei contadini di Caserta e Scanno. Questo Paese d'Abruzzo fu ispirazione di un significativo reportage sulle tradizioni del luogo e dunque fu tappa obbligata in seguito per fotografi come Henri Cartier-Bresson e Mario Giacomelli. Howells compì anche un viaggio in Sardegna nel 1903 riportando alcuni appunti fotografici. Probabilmente le fotografie realizzate da Howells, venivano utilizzate dal fotografo stesso come fonte iconografica per la realizzazione di opere pittoriche, pratica in uso già presso altri pittori della fine del secolo come ad esempio Francesco Paolo Michetti.

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Giuseppe Incorpora
Giuseppe Incorpora
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Giuseppe Incorpora (Palermo 1834- Palermo 1914) è uno dei primi fotografi professionisti siciliani, attivo dal 1859. Sono fondamentali, per gli esordi della sua carriera, i rapporti con i fotografi ambulanti francesi stabilitisi a Palermo nel corso degli anni Cinquanta del XIX secolo. La prima produzione di Incorpora è costituita principalmente da ritratti, tra i quali si ricorda quello di Garibaldi, eseguito nel giugno 1860, che gli procurò grande notorietà. Partecipa, presentando esemplari della propria produzione ritrattistica, all’Esposizione di Dublino nel 1865 ed a quella Universale di Vienna nel 1873. Viene inoltre premiato all’Esposizione Nazionale di Palermo del 1891-1892 ed all’Esposizione Nazionale di Torino nel 1898. In una fase più avanzata della sua attività Incorpora comincia a produrre immagini che hanno per soggetto Palermo e la Sicilia, entrando a pieno titolo tra i protagonisti della grande tradizione siciliana del vedutismo e della fotografia d'atelier. Viene nominato "Cavaliere del Regno" e "Fotografo della Real Casa" da Umberto I di Savoia e all'inizio degli anni Ottanta viene affiancato nell'attività dal figlio Francesco che, insieme ai fratelli Salvatore e Giovanni, continuerà l’attività fino agli anni '20 sotto la denominazione di “Real Fotografia Cav. Giuseppe Incorpora”. Dal 1926 la guida dello stabilimento passa alla guida di Giuseppe Junior, fino alla Seconda Guerra Mondiale.

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Eugenio Interguglielmi
Eugenio Interguglielmi
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Uno dei primi fotografi operanti a Palermo, Eugenio Interguglielmi (Palermo 1850- Palermo 1911) inizia la sua attività attorno al 1863 apprendendo prima la lezione degli Incorpora e poi quella dello zio Bugliarelli, uno dei pionieri del settore, che gli finanzia l'apertura di uno studio nel cuore del cento storico di Palermo, in Corso Vittorio Emanuele. Fin dalla fine degli anni Sessanta si specializza nella ritrattistica e diviene famoso, intorno al 1880, per la serie di costumi siciliani che gli valgono la medaglia d’oro all’Esposizione Industriale Italiana di Milano del 1881. E' successivamente premiato all’Esposizione di Firenze del 1891, all’Esposizione Internazionale di Fotografia di Milano del 1894 e all’Esposizione Universale di Parigi del 1900. Le foto dello studio Interguglielmi dipingono bene la Palermo di ieri, meta siciliana prediletta da aristocratici e turisti di tutta Europa. All'inizio del secolo Interguglielmi trasferisce il suo studio in via Cavour e dopo la sua morte l'attività viene portata avanti dai figli e dai nipoti fino al 1970: già dal 1909 il figlio Eugenio Interguglielmi jr. continua la tradizione di fotografo ritrattista e di vedute paesaggistiche, pubblicate nelle riviste all'epoca più diffuse.

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Clavert R. Jones
Clavert R. Jones
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Il Reverendo Clavert R. Jones (Veranda 1804 – Bath 1877) è stato uno dei primi fotografi ad adottare il processo fotografico ideato da William Henry Fox Talbot, con il quale fu in rapporto diretto grazie all'amicizia con il cugino Kit Talbot. Il Reverendo Jones fece ampio uso del procedimento della calotipia durante i suoi numerosi viaggi in Europa e nel Mediterraneo. Può sicuramente essere considerato uno dei maestri della fotografia delle origini, entusiasmato dalle possibilità delle nuove tecniche. Nel 1845 partì insieme a Kit Talbot per compiere un tour fotografico a Malta dove, nel 1846, vennero raggiunti dall'amico e fotografo George Wilson Bridge. Il gruppo di fotografi visitò l'Italia, risalendo dalla Sicilia verso Napoli, Roma, Firenze, Bologna e Milano. Una volta eseguiti i negativi venivano poi spediti direttamente in patria al fotografo Henneman e successivamente stampati per essere presentati al pubblico inglese. Il corpus dei suoi lavori comprende paesaggi marittimi e ritratti di uomini e donne intenti nel proprio lavoro o nel tempo libero, oltre ai documenti dei suoi viaggi.

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Alberto Lattuada
Alberto Lattuada
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Laureato in architettura, Alberto Lattuada (Milano 1914 - Roma 2005) si dedica fin da giovane alla propria passione per la sceneggiatura e il cinema. E' ricordato infatti principalmente per essere uno dei più significativi registi italiani, fondatore con Luigi Comencini e Mario Ferrari della Cineteca Italiana di Milano. Negli anni Trenta, prima dell’esordio sul grande schermo, si dedica alla fotografia e dal 1937 in poi esegue una serie di scatti che riprendono le vie di Milano, dal centro storico alla periferia, utilizzando la propria macchina “Rollei” con pellicole da sei centimetri per sei. Sono immagini di un realismo poetico che prelude alle visioni del cinema neorealista e si oppone all’iconografia positivista diffusa dal regime fascista. Ventisei tra queste foto saranno selezionate dal fotografo e pubblicate con il titolo, suggerito da Mario Soldati, di Occhio Quadrato, come monografia di “Corrente”, giornale di tendenza antifascista fondato nel 1938 dallo stesso Lattuada con Ernesto Treccani. L’attività fotografica di Lattuada prosegue, nel segno dell’Occhio Quadrato fino al 1948, con immagini nate allo scopo di documentare la preparazione dei suoi film ma che al tempo stesso conservano una propria valenza fotografica indipendente. Figura di intellettuale dalla personalità eclettica, ha trasposto sullo schermo molti celebri romanzi con uno stile rigoroso e inconfondibile, caratterizzato da alcuni degli elementi che contraddistinguono già i suoi scatti, come il sapiente gioco di luci ed ombre, l'equilibrio dell'inquadratura e il risalto dei dettagli. Tra le sue pellicole si ricordano: Il bandito (1947), Il mulino del Po (1949), Luci del varietà (1951) diretto insieme a Federico Fellini, L’imprevisto (1961), Venga a prendere il caffè da noi (1970) e La cicala (1980).

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Juan Laurent
Juan Laurent
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Juan Laurent (Nevers 1816 - Madrid 1892) si stabilì a Madrid dal 1843 fino all’anno della sua morte nel 1892. I suoi lavori ottennero la medaglia di bronzo all’Esposizione delle Industrie (Madrid) del 1845 e la medaglia d’argento all’Esposizione Spagnola del 1850. Nel 1856 aprì una galleria fotografica in Carrera de San Jeronimo ovvero nello stesso luogo dove si trovava il già noto studio di Clifford. Si specializzò nei ritratti fotografici di personaggi illustri dell’epoca, oltre a realizzare vedute di località spagnole tra le più affascinanti, con particolare attenzione alle architetture, riprese anche nei dettagli. Strinse in breve tempo un significativo legame professionale con la monarchia spagnola, che ben presto lo nominò “Fotografo di Sua Maestà la Regina”. Nel 1858 ricevette l’incarico di fotografare i lavori di costruzione della linea ferroviaria da Madrid ad Alicante, inaugurata nel 1867; inoltre realizzò una serie di scatti fotografici sulle opere pubbliche dell’Esposizione Universale di Parigi del 1867. Fu membro della Società Francese di Fotografia dal 1859 in poi. Laurent radunò un gruppo di collaboratori fotografi salariati che percorsero la Spagna con le loro macchine fotografiche e nel contempo trasformò la sua galleria fotografica nel più importante negozio di fotografia del XIX secolo in tutta la Spagna. Per favorire la fruizione del suo negozio, intorno agli anni ’60 realizzò alcuni cataloghi tematici che includevano il repertorio di tutte le fotografie che commercializzava. Nel 1874 si mise in società con la figliastra Catalina Melina Dosch (che aveva ereditato parte del negozio alla morte della madre, sposa di Laurent) e nel 1881 le cedette definitivamente anche la sua quota.

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Ferruccio Leiss
Ferruccio Leiss
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Discendente di un’antica famiglia tirolese, nel 1914 Ferruccio Leiss (Oneglia 1892- Venezia 1968) è a Milano dove si laurea in Scienze Agrarie ed inizia a lavorare come chimico. Comincia a fotografare giovanissimo, sperimentando varie tecniche quali il bromolio e la gomma bicromatata. Nel 1920 si dedica ad una fotografia più schietta e moderna, iniziando anche a collaborare con riviste ed annuari specializzati. Nel 1930 è tra i fondatori del Circolo Fotografico Milanese e nel 1947 è tra quelli del gruppo “La Bussola” il sodalizio fotoamatoriale più prestigioso dell’Italia post-bellica. Nel 1942 collabora all’edizione del libro Otto fotografi italiani d’oggi. Figura versatile, Leiss fotografa nature morte, esegue ritratti (tra cui alcuni personaggi celebri come Frank Lloyd Wright) e paesaggi, affascinato in particolare dalle vedute notturne, fiabesche e trasognate della città di Venezia. Se si escludono infatti alcune fotografie di ricerca grafico compositiva, la sua opera riguarda soprattutto la città lagunare: nel 1953 viene pubblicata una sua ampia raccolta nel libro Immagini di Venezia. A Venezia Leiss rappresenta un punto di riferimento per gli appassionati di fotografia, che furono influenzati dalla resa dei suoi soggetti architettonici e dalla stampa a toni alti, rintracciabile in alcune delle sue prime immagini.

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Noel Marie Paymal Lerebours
Noel Marie Paymal Lerebours
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Noel Marie Paymal Lerebours (Parigi 1807 – 1873) fu adottato dalla famiglia dell'ottico francese Jean Lerebours nel 1836, ereditò la bottega ottica del padre, associandosi con Marc Secrétan nel 1845. Oltre a produrre lenti per occhiali e ad alte prestazioni per osservatori astronomici si interessò alla pratica del dagherrotipo e cercò di perfezionarla: il suo studio divenne infatti un importante centro di ricerca ed innovazione della dagherrotipia. Egli eseguì molte splendide vedute della Senna, custodite presso il Museo Carnevalet. In Francia, tra il 1840 e il 1843, l'ottico, fotografo ed editore promosse la pubblicazione di una serie di 111 incisioni, tratte da dagherrotipi scattati da diversi autori, tra cui lo stesso Lerebours, in Europa, Medio Oriente e America, raccolte nell'opera “Excursions daguerriennes, représentant les vues et les monuments anciens et modernes les plus remarquables du globe”. La maggior parte delle incisioni, realizzate da diversi autori, sembrano essere state riprese direttamente dall'originale, lasciano all'iniziativa dell'incisore solo l'inserimento di alcune figure la cui presenza animava la veduta. L'opera editoriale di Lerebours venne pubblicata a fascicolo di quattro tavole a partire dall'estate del 1840 fino all'autunno del 1843. Le vedute furono successivamente riunite in due volumi pubblicati nel 1842 e nel 1843-44.

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Eduard Moritz Lotze
Eduard Moritz Lotze
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Completata la formazione come pittore a Dresda, Lotze (Fraibergsdorf 1809 – Monaco 1890) nel 1830 si trasferisce a Monaco, dove assieme al cognato Franz Hanfstaengl compie il proprio tirocinio fotografico sotto la guida del fotografo bavarese Alois Löcherer. Dal 1857 risulta attivo a Verona, dove è titolare di uno dei più importanti stabilimenti fotografici della città. E’ autore di ritratti e riproduzioni di opere d’arte, esegue inoltre una serie di fotografie entomologiche per lo scienziato naturalista Abramo Massalongo, raccolte nel 1859 nel Saggio fotografico su alcuni materiali e piante fossili dell’Agro Veronese. Da ricordare anche le splendide vedute della città di Verona e dei dintorni, come le Vues photographiques du Tyrol Meridional che gli valsero la medaglia di bronzo all’Esposizione Universale di Parigi del 1867, oltre ad una articolata documentazione sull’architettura militare delle fortificazioni austriache di Peschiera, Pastrengo, Rivoli e Verona. Al rientro di Lotze in Germania nel 1868 l’attività dello studio viene portata avanti dai figli Emil e Richard e l’archivio viene successivamente rilevato da Domenico Anderson.

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Robert Macpherson
Robert Macpherson
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Dopo gli studi di medicina e di chirurgia ad Edimburgo, Robert Macpherson (Edimburgo 1811- Roma 1872) si stabilisce dalla Scozia a Roma, nel 1840, per motivi di salute. Interrotti gli studi medici freqenta la Royal Scottich Academy di Edimburgo, dove espone i suoi ritratti tra 1831 e '35. Giunto a Roma come pittore, inizia subito ad interessarsi alla fotografia, passione che si consolida con la visita di un suo caro amico medico e fotografo dilettante nel 1851. Utilizza negativi di grande formato e la sua fotografia è caratterizzata da tempi di esposizione lunghi per rappresentare in modo dettagliato l'architettura e la scultura romana, le rovine, i paesaggi. Il suo talento supera quello del già affermato connazionale James Anderson: nel 1858 pubblica un catalogo a stampa delle sue fotografie. Fin dal 1851 commercializza vedute di monumenti e di paesaggi ai turisti del Grand Tour; utilizza sempre lastre di grande formato e riproduce le immagini con un procedimento litografico su pietra e su metallo di sua invenzione, brevettato ufficialmente. Nel 1863, realizza più di trecento lastre delle sculture dei Musei Vaticani che pubblica in album, ottenendo un grande successo commerciale. Partecipa a mostre a Londra e Edimburgo ed ottiene per primo l'autorizzazione a fotografare all'interno del Vaticano, pubblicando nel 1863 il volume Sculture Vaticane.

 

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Fosco Maraini
Fosco Maraini
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Nato a Firenze nel 1912, Fosco Maraini (Firenze 1912 – Firenze 2004) compie sin dall’adolescenza numerosi viaggi in Europa e nel mondo, grazie anche ai legami familiari della madre con il Sud Africa, l’India e diversi altri Paesi. Si laurea in Scienze naturali e Antropologiche presso l'Università degli studi di Firenze e all'età di ventidue anni s’imbarca, come insegnante d’inglese dei cadetti dell’Accademia Navale di Livorno, sulla nave scuola ‘Amerigo Vespucci’ verso le coste del Medioriente. Ha modo così di visitare l’Egitto, il Libano, la Siria e la Turchia. Nel 1935 sposa Topazia Alliata dal cui matrimonio nascono tre figlie: Dacia, Yuki e Toni. Nel 1937 parte al seguito dell’orientalista Giuseppe Tucci per una lunga spedizione in Tibet. Questa esperienza convince definitivamente Maraini a dedicarsi alla ricerca etnologica e allo studio delle culture orientali, tanto da spingerlo a compiere molti altri viaggi nel continente asiatico. Si stabilisce in Giappone per diversi anni, prima della Seconda Guerra Mondiale, come lettore universitario di lingua italiana. Maraini documenta sistematicamente con i suoi scatti le esperienze vissute a contatto con le tradizioni, le suggestioni ed i colori di questi popoli. Nel 1943 si rifiuta di aderire alla Repubblica di Salò e viene rinchiuso, insieme alla sua famiglia, nel campo di concentramento di Nagoya. Farà ritorno in Italia alla fine della Guerra, per ripartire presto nuovamente, dal 1948, verso Tibet e Giappone, ma anche alla volta della Corea e di Gerusalemme. Altra grande passione del fotografo è quella di alpinista, a capo di importanti spedizioni nelle catene del Karakorum e dell'Hindu Kush. Dai resoconti dei suoi viaggi nascono volumi tradotti in più lingue e numerosi lavori fotografici: dalle foto del Tibet, al Giappone, all' Asia tornando all realtà italiana. Insegnante di lingua e letteratura giapponese all'Università di Firenze, diviene uno dei massimi esperti di cultura delle popolazioni Ainu del Nord del Giappone. Dopo aver divorziato, nel 1970 sposa in seconde nozze Mieko Namiki, con la quale vive a Firenze e inizia a lavorare, fino agli ultimi anni della sua vita, alla sistemazione del suo archivio fotografico e dei suoi libri rari. Su espresso desiderio di Maraini, la sua biblioteca orientale e la fototeca delle immagini da lui riprese sono oggi conservate nel Gabinetto Scientifico Letterario G.P. Vieusseux di Firenze.

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Giuseppe Marzocchini
Giuseppe Marzocchini
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Giuseppe Marzocchini (Livorno 1802 – Livorno 1865) è uno dei primi fotografi attivi a Livorno, dove esercita la dagherrotipia fin dal 1843 presto affiancato nel lavoro, presso lo Stabilimento Fotografico Marzocchini, il primo aperto in città in via Ferdinanda 78, dal figlio Riccardo. E' insieme al figlio che partecipa all'Esposizione Italiana del 1861 a Firenze, presentando una serie di ritratti eseguiti con le tecniche più apprezzate all'epoca dal punto di vista commerciale, dalla stereoscopia al “finto cammeo”. Alla morte del padre, Riccardo trasferisce in via Vittorio Emanuele 8 lo studio che diviene uno dei più importanti di Livorno, dedito non solo all'attività del ritratto ma anche alla produzione di vedute, tanto da poter pubblicare nel 1874 l'Album Livornese, una raccolta di 204 immagini panoramiche della città accompagnate da brevi note storiche.

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John J.E. Mayall
John J.E. Mayall
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Tra i maggiori dagherrotipisti attivi a Londra, a partire dal 1847 con studio al 485 di West Strand, John J. E. Mayall (1810-1901) apprese l'arte della fotografia a Philadelphia, riportando in patria una tale esperienza e una così raffinata qualità nel realizzare le immagini su lastra d'argento, da ottenere i più ampi riconoscimenti ed essere chiamato il “dagherrotipista americano”, nonostante le sue probabili origini inglesi, aggettivo riferito alla nitidezza, alla luminosità ed al formato che caratterizzavano il lavoro dei fotografi d'oltre Oceano. Tale fama gli fece ottenere l'incarico di realizzare la documentazione fotografica dell'Esposizione del 1851 al Crystal Palace, immortalato in settantadue dagherrotipi che gli valsero la “menzione onorevole” all'Esposizione stessa. Caratteristica dei suoi ritratti, è la scelta della posa in cui viene ripresa la figura, costruita secondo dei parametri estetici riferibili alla pittura del XVIII secolo, dove, seguendo uno schema di costruzione piramidale, il punto focale è nella concentrazione dello sguardo, a cui rimandano tutte le linee della composizione. La luce contribuisce a questo straordinario risultato giocando un ruolo primario nel definire i piani e stabilendo i necessari chiaroscuri.

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Francesco Paolo Michetti
Francesco Paolo Michetti
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Della primaria attività di pittore di Francesco Paolo Michetti (Tocco Casauria 1851- Francavilla a Mare 1929), occorre ricordare come la sua formazione e le sue scelte espressive siano maturate nell’ambito della cultura partenopea, della scuola di Domenico Morelli prima e del realismo di Filippo Palizzi più tardi. Nel 1872 partecipa al Salon parigino, conosce ed apprezza l'opera di Mariano Fortuny e comincia a dedicarsi alla fotografia, probabilmente tamite Palizzi. All’inizio l’uso della fotografia è per Michetti solo un supporto di tale arte, ma ben presto, attraverso la pratica e i risultati ottenuti, scorge in essa l’espressione del nuovo secolo, ed intuisce la profonda crisi che la pittura, come rappresentazione del reale, stava vivendo fra Ottocento e  Novecento. L’incontro di Michetti con la fotografia, il suo interesse per quella tecnica e per l’uso che se ne poteva fare in pittura, segue l’itinerario comune a molti artisti italiani del secondo Ottocento, che abbandonarono le arti figurative in favore della fotografia. Grazie al suo temperamento curioso e disinibito, egli impara, in breve tempo, ad usare le tecniche più comuni di sviluppo e stampa, accumulando poi negli anni una grande quantità di immagini. Dai bellissimi ritratti delle donne abruzzesi del periodo giovanile, Michetti passa ai generi più disparati: immagini di maggior movimento come quelle dei pellegrinaggi, delle processioni, le mattanze dei tonni ad Acireale, quelle di animali e di figure nel paesaggio, fino a quelle in cui la sua sensibilità artistica pone l’attenzione agli aspetti più minuti e quotidiani della natura: acque, foglie, fiori, radici, sterpaglie, ed altri minimi aspetti che colpiscono la sua immaginazione al loro improvviso rivelarsi come entità visive autonome.

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Bruno Miniati
Bruno Miniati
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Miniati (Livorno 1889 -  Livorno 1974) inizia ad interessarsi di fotografia con il padre che a Livorno gestisce un avviato studio, senza tuttavia seguirne l’impostazione per lui troppo provinciale e convenzionale. Avviato alla carriera militare, diviene ben presto fotografo dell’Esercito partecipando a moltissime campagne di guerra e realizzando quindi servizi documentari su vari fronti, fino al 1943. Di formazione artistico accademica, realizza ritratti di gusto retrò, ma la sua fama è legata soprattutto alle immagini di Livorno, della sua gente e della sua Accademia Navale. Partecipa a diversi concorsi fotografici risultando spesso fra i vincitori. Miniati continua a lavorare fino a pochi mesi prima della morte. Le foto più belle e artisticamente riuscite sono quelle che ritraggono la nave scuola Amerigo Vespucci: mediante suggestivi scorci e particolari esaltati da giochi di luci ed ombre, Miniati riesce a cogliere, da buon livornese, quel legame profondo che unisce l’uomo al mare.

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Carlo Mollino
Carlo Mollino
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Carlo Mollino (Torino 1905 - Torino 1973), è uno dei più grandi fotografi italiani del Novecento. Laureato in architettura nel 1931 si rivela subito una personalità geniale.  Tra i capolavori della sua carriera di designer e progettista si annoverano la Società Ippica Torinese, l'Auditorium della RAI, la ristrutturazione del Teatro Regio di Torino, alcuni oggetti d'arredo per le celebri case D'Errico, Miller e Devalle ed un saggio teorico intitolato Architettura, Arte e Tecnica. Il suo sodalizio con la fotografia, che diviene il mezzo espressivo ed artistico da lui privilegiato, è lungo ed appassionato. I suoi scatti hanno come soggetto soprattutto ritratti, i celebri nudi femminili in cui le donne non sono mai isolate nella loro bellezza e sensualità, ma sempre inserite in contesti ben precisi. Dagli anni trenta si rivolge anche alla fotografia di natura morta. Mollino è autore del primo trattato teorico sull'estetica fotografica, il Messaggio dalla camera oscura scritto nel 1943, una storia della fotografia tracciata dal suo personale punto di vista critico ed illustrata da 323 fotografie. Pubblicato nel 1950, il Messaggio è una testimonianza fondamentale per capire il suo pensiero e la sua arte fotografica, insieme alle numerosissime lastre, stampe e negativi che ci ha lasciato. Da questo prezioso documento si traggono le linee guida del suo linguaggio fotografico, in particolare il concetto della “trasfigurazione dell'opera d'arte”, ovvero l'idea che l'oggetto rappresentato non debba mai essere uguale a quello da ritrarre, perchè secondo il fotografo “è nella trasfigurazione che si realizza la valenza espressiva della capacità d'arte dell'oggetto”. Mollino fa della fotografia usi molteplici, illustrativi, creativi e strumentali, come molteplici sono gli suoi interessi che si rispecchiano nella sua opera fotografica: dall'architettura al cinema, dalla storia alla critica fino alla letteratura. Egli sorpassa il modernismo anticipando anzi il postmodernismo e tenendo presenti le grandi possibilità estetiche della “scrittura fotografica”: influenzato dalla lezione di Man Ray e Moholy-Nagy, supera le istanze neorealistiche dando maggiore rilievo alla fotografia pubblicitaria e di moda, caratterizzata da immagini inquiete, ambigue ed allusive. Gran parte del corpus della sua opera è conservato presso il Politecnico di Torino, nella Biblioteca che custodisce l'archivio del poliedrico fotografo-architetto.



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Luigi Montabone
Luigi Montabone
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L’attività di Luigi Montabone (? - ? 1877) inizia a Torino intorno al 1860, in via della Rocca 47, con il nome di Fotografia Reale e conosce un rapido successo come testimoniano i numerosi ritratti di illustri personaggi della corte sabauda eseguiti in quel periodo. E’ tra i primi fotografi ad introdurre, in ambito subalpino, l’uso del formato carte de visite e nel 1860 è ammesso tra i soci della Societé Française de Photographie che riuniva a Parigi i migliori esponenti della fotografia internazionale. Ma l’impulso decisivo all'affermazione del nome di Montabone è indubbiamente fornito dalla prima Missione Italiana in Persia del 1862 alla quale è chiamato a partecipare come fotografo ufficiale. Dal viaggio persiano riporta una serie di fotografie, vedute e ritratti dei sovrani e degli alti dignitari del Regno, che gli procurano una grande notorietà: successivamente alla Missione, tutte le fotografie di Montabone riporteranno, sul verso, il leone di Persia accanto all’indicazione pubblicitaria di ‘Fotografo di S.M. il Re d’Italia, della Regina d’Inghilterra e dello Shah di Persia’. Ancora cinque anni dopo, nel 1867, è con alcune fotografie della serie persiana che Montabone partecipa all’Esposizione internazionale di Parigi, che gli vale una “menzione onorevole”. L’anno successivo, di nuovo con alcuni ritratti persiani, partecipa all’Esposizione nazionale di Torino. Dopo il 1870 sono documentate altre sedi della Fotografia Reale a Milano, Firenze, Roma e l’attività di questi stabilimenti sarà portata avanti da alcuni successori dopo la morte di Luigi nel 1877.

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Aurelio Monteverde
Aurelio Monteverde
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Come fotografo amatoriale Aurelio Monteverde documenta con vivacità e gusto per l’inquadratura istantanea la società aristocratica di fine secolo, viaggia in Italia alla ricerca di ‘emozioni’ e mostra curiosità per l’arte, ma anche per la vita sociale ed economica del nostro Paese. Gli appunti fotografici di Monteverde possono essere definiti schizzi tascabili di un realismo impressionista. 

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Luciano Morpurgo
Luciano Morpurgo
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Luciano Morpurgo (Spalato 1886-Roma 1971), di famiglia ebrea, trascorre la giovinezza a Spalato e compie i suoi studi a Venezia, dove si laurea in Scienze Commerciali nel 1907. All’inizio della prima guerra mondiale si trasferisce definitivamente in Italia per sfuggire al regime austriaco ed è in questo periodo che, mettendo a frutto l’esperienza fotografica maturata negli anni dell’Università, documenta il folklore laziale ed abruzzese, perfezionando le tecniche del bromolio e della gomma bicromata. Ottiene particolare successo esponendo le sue fotografie presso il circolo artistico di via Margutta a Roma. Nel 1919 fonda la ‘Società Tipografica Grafia S.E.D.A.’, 'Sezione Edizioni D'Arte, che nel 1924 diventa I.F.I. (Istituto Fotografico Italiano) e si impegna in diversi progetti editoriali ai quali contribuisce con le proprie campagne fotografiche. L'anno successivo istituisce infatti la casa editrice Luciano Morpurgo. Tra le sue mostre fotografiche si ricorda quella relativa ai reportage in Palestina e Giordania nel 1927, organizzata al Quirinale e raccolta in un ricco volume. Tra gli anni Venti e gli anni Trenta Morpurgo compie altri viaggi di documentazione fotografica in Dalmazia, Albania, Grecia, Turchia, Bulgaria e Romania e partecipa con successo a numerose esposizioni internazionali. Dopo la dura parentesi della Seconda Guerra Mondiale, sfuggito per meriti alle Leggi razziali ed alle persecuzioni naziste, Morpurgo riesce a pubblicare Quando ero fanciullo e Caccia all'uomo, due libri autobiografici, l'ultimo in particolare riguardante la sua difficile condizione di ebreo durante gli anni del conflitto. Nel dopoguerra e dopo la sua morte l'opera fotografica di Morpurgo viene conservata presso il Gabinetto Fotografico Nazionale, poi divenuto Istituto Centrale del Catalogo e Documentazione (ICCD). Il fondo Morpurgo è uno dei più importanti archivi fotografici italiani del Novecento: va dal 1900 al 1967 ed è ordinato secondo il tipo di supporto (negativi su vetro, negativi su pellicola e positivi originali). Nel 1989 una parte delle sue stampe fotografiche, 950 originali, è confluita per donazione degli eredi nell'attuale Museo Nazionale Alinari della Fotografia.

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Eadweard Muybridge
Eadweard Muybridge
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Fotografo inglese, Muybridge (Kingston upon Thames 1830-Kingston upon Thames 1904) già nel 1850 parte alla volta degli Stati Uniti dove comincia a dedicarsi alla professione di libraio. Si appassiona presto alla dagherrotipia frequentando Silas Selleck, al quale si associa fondando la Cosmopolitan Gallery of Photography Art. Si interessa al paesaggio e alle modificazioni che la nascente industria impone su questo e partecipa a spedizioni geografiche nel Centro America. In seguito si dedica soprattutto allo studio del movimento degli animali, avvalendosi del metodo della cronofotografia e guadagnando così l’attribuzione di pioniere della fotografia del movimento. Infatti grazie a The horse in motion, una celebre sequenza di fotografie che riprende le varie fasi del movimento di un cavallo al galoppo, mediante 24 fotocamere disposte lungo il percorso ed azionate tramite un filo colpito dagli zoccoli dell'animale, Muybridge dimostra la sua ipotesi secondo la quale in un preciso istante tutte e quattro le zampe del cavallo si sollevano da terra. Questo movimento non avviene con tutte le zampe in tensione, com'era solitamente raffigurato anche in celebri dipinti: fu una scoperta interessante per gli artisti, che inizarono sempre più frequentemente ad affiancare la fotografia come ausilio all'attivita pittorica. Muybridge proseguirà con grande successo le proprie ricerche che divulgherà grazie a Marey a Parigi nel 1886. Il progetto di strumenti come lo zoopraxiscopio e il suo famosissimo album ‘Animal locomotion’, pubblicato nel 1887, contribuiranno ad accelerare lo sviluppo dei metodi di ripresa e quindi del cinema.

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Carlo Naya
Carlo Naya
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Dopo la laurea in giurisprudenza Carlo Naya (Vercelli 1816 - Venezia 1882) si stabilisce a Venezia attorno al 1857 e qui fonda il suo celebre stabilimento fotografico. Nel primo periodo di attività si appoggia commercialmente al negozio di Carlo Ponti, con il quale pubblica l’album Vedute di Venezia 1866. Il successo della sua attività, specializzata in riproduzioni di opere d’arte e vedute, è immediato: nel 1864 è incaricato di eseguire la campagna di rilievo fotografico, precedente al restauro, degli affreschi di Giotto nella Cappella degli Scrovegni a Padova, che presenterà all’Esposizione di Parigi del 1867. Rotto il sodalizio con Ponti, nel 1868 a causa di una controversia legale, Naya stabilisce la propria attività indipendente aprendo un grande negozio in Piazza S. Marco. Alla morte di Carlo nel 1882 la moglie Ida Lessiak subentra nella direzione dello Stabilimento fotografico e ne affida la conduzione al collaboratore di Naya Tommaso Filippi. E’ grazie a quest’ultimo che lo stabilimento pubblica, nel 1887, Isole della laguna di Venezia, un album di vedute animate da scene di genere commissionato dal Municipio di Venezia in occasione della Esposizione Nazionale Artistica. Successivamente lo stabilimento passa ad Antonio Dal Zotto e quindi ad Antonio Bacchetto fino alla cessazione dell’attività nel 1918.

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Alfred Noack
Alfred Noack
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(Genova 1833- Dresda1896)

Alfred Noack lavora a Genova dal 1860 al 1896. La sua produzione fotografica è di stampo vedutista. Noack esegue un grande numero di immagini in Liguria. Alla sua morte l’archivio viene rilevato da altri fotografi  tra cui Carlo Paganini che ristampa i negativi di Noack firmandoli come propri. Una parte delle lastre di Noack era conservata presso l’archivio del comune di Genova per il quale spesso lavorava, tale patrimonio andò distrutto durante uno dei bombardamenti della seconda guerra Mondiale. La numerosa produzione superstite accumulata in molti anni di attività, testimonia la grande esperienza tecnica di cui era dotato Alfred Noack, considerato, come sostiene Becchetti, fra i maggiori fotografi del Nord Italia. 

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Mario Nunes Vais
Mario Nunes Vais
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(Firenze 1856- Firenze 1932)

Mario Nunes Vais nasce in un’agiata famiglia ebrea, secondo l'indirizzo paterno si avvia alla professione di agente di cambio. Inizia a fotografare intorno al 1885 cogliendo immagini di vita rurale e cittadina. Si dedica alla ritrattistica dagli inizi del '900 nell'intento di costituire un grande 'Pantheon fotografico’. Apprezzato dalle celebrità del tempo che gli dedicano parole di ammirazione e di stima, ritrae in immagini piene di luci morbide ed evocatrici personaggi del mondo artistico e culturale italiano, ma anche semplici borghesi, affermandosi come uno dei più grandi ritrattisti amatoriali.

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Ferdinando Ongania
Ferdinando Ongania
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(Venezia 1842- St. Moritz 1911)

Ferdinando Ongania non fu fotografo in prima persona ma contribuì, come editore, a dare un fondamentale impulso all’affermazione del procedimento eliotipico per la riproduzione delle immagini.

Inizia la propria carriera presso la libreria veneziana dei Fratelli Münster, rilevando la ditta a soli diciannove anni, nel 1861. Le iniziative editoriali da quel momento si moltiplicano con le riproduzioni in facsimile di libri figurativi del Cinquecento e del Seicento nella collana Raccolte di opere antiche sui merletti, e con le raccolte di riproduzioni dei disegni originali conservati presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia. Nel decennio 1877-1887 si dedica alla monumentale opera di illustrazione de La Basilica di San Marco in Venezia, con 425 tavole eliotipiche e cromolitografiche, basata sulle riprese fotografiche eseguite da Carlo Jacobi e Oreste Bertani. Successivamente pubblica le due raccolte Calli e Canali (1890-1892) e Calli, Canali e isole della laguna (1893), ciascuna con 100 tavole in eliotipia edite a dispense ed i due volumi del Portafoglio delle arti decorative in Italia, rispettivamente di 96 e 80 tavole eliotopiche, editi tra il 1890 ed il 1893.

Il catalogo di opere illustrate edite da Ongania comprende oltre cinquanta titoli, tutti illustrati con la tecnica eliotipica, che all’epoca della morte dell’editore sarà superata dai procedimenti fotomeccanici a mezzo tono.

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Giulio Parisio
Giulio Parisio
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(Napoli 1891- Napoli 1967)

Giulio Parisio dopo studi tecnici, si arruola nell’aviazione militare ed esegue vari voli di ricognizione fotografici sulla Dalmazia. Dopo la fine della guerra lavora come reporter ed in seguito apre uno studio a Napoli dove esegue soprattutto ritratti. Si interessa alla fotografia etnografica per cui visita a lungo tutte le regioni del Sud e la Sicilia. Fotografa i paesaggi, le scene del lavoro agricolo ed operaio, le scene di pesca sulle rive della Calabria. Partecipa a numerose mostre nazionali e internazionali. Nel 1926 apre una galleria d’arte punto di riferimento dei pittori d’ avanguardia. Conosce Carlo Cocchia che lo mette in contatto con Marinetti nel 1928, quando viene costituito un gruppo futurista. Compie le prime ricerche per una creazione fotografica d’avanguardia firmando con lo pseudonimo “Paris”. Partecipa in seguito a tutte le mostre di fotografia futurista agli inizi degli anni trenta. Esegue ricerche sulla distorsione ottica, sul fotomontaggio, sulla solarizzazione e su scenografie di figurine di carta. Partecipa a numerose esposizioni internazionali come quella di Parigi del 1925 e quella universale di Bruxelles del 1935.

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Fernando Pasta
Fernando Pasta
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(Milano 1887-?)

Fernando Pasta lavora a Milano tra gli anni ’20 e gli anni ‘50. Nella “Guida di Milano” del 1939-40, pubblicata dalle edizioni Savallo, Pasta figura nella rubrica dei “fotografi professionali”. Negli anni Sessanta il suo archivio venne acquistato dal fotografo Pietro Donzelli.

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Domenico Riccardo Peretti Griva
Domenico Riccardo Peretti Griva
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Illustre Magistrato di professione, Domenico Riccardo Peretti Griva (Coassolo Torinese 1882-Torino 1962), famoso in Italia come temerario “giudice ribelle” durante i difficili anni a cavallo della Liberazione, è stato anche Presidente onorario della Corte di Cassazione. Scrittore di testi di diritto e di sociologia, ma anche di libri per l’infanzia, inizia a fotografare giovanissimo, verso il 1905. La fotografia costituisce per lui una grande evasione ed un estremo conforto. Partecipa con successo alla Prima Esposizione Internazionale di Fotografia Ottica e Cinematografica tenutasi a Torino nella primavera del 1923. Sostenitore di tecniche interpretative ormai in disuso quali quelle del ‘bromolio’ e degli ‘inchiostri grassi’, è testimone nel panorama fotografico degli anni ’20, del linguaggio aristocratico di chi adotta la formula pittorica per evitare il contagio di una fotografia conclamata e sempre più diretta. Durante gli anni ‘30 partecipa ai Saloni nazionali ed internazionali con una frequenza tale che è difficile trovare in ambito fotografico italiano. Le sue immagini, note ovunque, vengono pubblicate su cataloghi, annuari, libri, riviste specializzate quali ‘Il Corriere Fotografico’, ‘Il Progresso Fotografico’ e ‘Vita Fotografica’. E' stato anche teorico dell’estetica fotografica, realizzando un numero elevato di saggi ed articoli di tecnica ed estetica della fotografia nonché opuscoli e scritti a tema giuridico su cinema e fotografia. Pubblica anche numerosi e ricercati libri fotografici come ad esempio il testo ‘Cento impressioni romane’.

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Luigi Pesce
Luigi Pesce
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(?-?)

Luigi Pesce fu un fotografo ed un archeologo napoletano emigrato in Persia nel 1848 divenne capo della fanteria dello Shah e fu tra i fondatori del Politecnico di Theran, dove cominciò ad insegnare agli ufficiali persiani i primi rudimenti della fotografia. Si specializzò in riprese di resti storici di quei luoghi. Nessuno aveva fotografato questi paesi prima di lui e la sua testimonianza di pioniere fece scalpore ed ebbe molta fortuna una volta giunta in Europa nel 1860. Nel marzo del 1861 scrisse a Cavour, chiedendo di poter rientrare in Italia, specificando di aver realizzato un album dei monumenti più interessanti della Persia mai illustrati.

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John Brampton Philpot
John Brampton Philpot
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L’inglese John Brampton Philpot (Maidstone 1812 – Firenze 1878) si colloca tra i nomi di riferimento per la storia delle origini della fotografia in Toscana ed in particolare a Firenze. Philpot lavora a Firenze utilizzando la tecnica della calotipia a partire dai primi anni ´50 per poi proseguire con una produzione più commerciale di riproduzioni d'arte e di vedute realizzate con lastre al collodio. Della sua prima attività si era a conoscenza, sino ad oggi, unicamente di una serie di ventotto negativi calotipi conservati presso il Gabinetto Fotografico della Soprintendenza dei Beni Artistici e Storici di Firenze. A questo primo corpus è possibile oggi aggiungere una ulteriore raccolta di trentacinque negativi calotipi conservati nel Museo Nazionale Alinari della Fotografia. Le immagini realizzate da Philpot documentano, nel loro insieme, una personalità artistica di ampio respiro sia per qualità tecnica sia per ricerca compositiva. Alle più note vedute della città di Firenze, dai monumenti scultorei alle principali chiese, con particolare attenzione alla rappresentazione dell'Arno con i suoi ponti e le sue sponde, si affiancano ora alcune vedute della nota stazione turistica ottocentesca di Bagni di Lucca, meta privilegiata della comunità inglese in Toscana, che confermano ancora una volta l'impronta culturale anglosassone dell'autore di queste straordinarie fotografie, ricche di riferimenti all'estetica del “pittoresco” e del “sublime” di derivazione romantica. Nell'insieme l'opera di Philpot presenta un repertorio iconografico significativo per quanto riguarda il genere di vedute che rispondono al gusto e all'idea di Firenze e della Toscna di quei turisti stranieri che ne erano i principali committenti.

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Eugène Piot
Eugène Piot
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(Parigi 1812 – Parigi 1891)

Archeologo e fotografo francese, Eugène Piot, lavorò ad una grandiosa opera a fascicoli mai portata a termine, L'Italie Monumentale, presentando nel 1851 il primo dei venticinque portfolio previsti. L'opera doveva dare l'avvio ad un piano di pubblicazioni dedicate ai maggiori paesi europei, illustrate con fotografie per la maggior parte realizzate dallo stesso Piot durante lunghi soggiorni in Spagna, Germania, Inghilterra, Gracia e Italia. Egli fu il primo a servirsi della fotografia come mezzo di riproduzione per campagne di documentazione su larga scala consacrate all'architettura, all'archeologia e alle opere d'arte, benchè l'impresa, nel 1854 si potesse considerare finanziariamente fallita, esso è testimonianza dell'utopico sogno di produrre un primo raffinato catalogo d'arte per gli studiosi. Le fotografie sono trattate come delle litografie, montate su cartoncini con il titolo a stampa e la dicitura “Piot fecit et excudit”, ciascuna stampata su carta cinese finissima, estremamente fragile ma che rende i toni della fotografia quasi degli inchiostri e nel piccolo formato conferisce maggiore preziosità all'immagine. Piot realizza personalmente nel 1850 le fotografie dedicate ai monumenti toscani, come ne esegue molte altre in occasione dei suoi numerosi viaggi in Italia, in particolare nel sud per documentare  l'architettura dei templi Greci, creando delle immagini di grande fascino per la primitiva qualità dei toni e il rigore compositivo.          

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Filiberto Pittini
Filiberto Pittini
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Nato in Friuli a Gemona cresce a Venezia e si laurea ingegnere a Padova, conduce una vita da alto dirigente industriale in un gruppo multinazionale in Argentina, in Svizzera e successivamente in Italia. Sempre interessato agli ambienti e alla natura in cui gli è capitato di vivere, alla città, al mare, alla montagna, inizia presto ad interessarsi di fotografia, attività perseguita più sistematicamente e con passione negli ultimi 25 anni e sempre avente la natura come soggetto di principale interesse. Ad una prima Leica IIIF, hanno fatto seguito altre macchine Leica e Hasselblad, acquistate principalmente per collezionismo, ma ugualmente utilizzate secondo convenienza. Le sue fotografie vennero esposte anche in diverse mostre personali a Milano, Trieste, Bergamo, o raccolte in qualche volume, tra cui Filiberto Pittini, Electa 1987. I suoi scatti  sono sempre in bianco e nero e la sua è una ricerca costante dell’essenzialità che viene suggerita da linee, ombre e simmetrie che trascende la semplice descrizione.

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Carlo Ponti
Carlo Ponti
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(Sagno, Canton Ticino 1821-Venezia 1893)

Ottico di origine svizzera, compie la propria formazione professionale durante un soggiorno di otto anni a Parigi, stabilendosi poi a Venezia nei primi anni Cinquanta. Nella città lagunare si impegna in una fiorente attività aprendo un negozio di strumenti ottici nel quale commercializza anche fotografie.

Nel 1854 è premiato all’Esposizione di agricoltura e industria per i suoi “apparati fotografici” e nello stesso anno pubblica il primo catalogo di 160 vedute di Venezia, realizzato con il contributo di fotografi quali Perini e Bresolin. Nel 1862 è premiato all’Esposizione internazionale di Londra dove presenta il Megaletoscopio, visore per fotografie di grande formato dagli effetti spettacolari. La fortuna commerciale di Ponti sia nel settore degli strumenti ottici che in quello della produzione di vedute souvenir di Venezia continua ad aumentare ed annovera tra i propri collaboratori anche Carlo Naya.

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Studio fotografico Pozzar
Studio fotografico Pozzar
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Lo Studio fotografico Pozzar fu attivo a Trieste dai primi del ‘900 fino agli anni Ottanta e specializzato in documentazione d’industria, architettura e ritrattistica, con particolare riferimento al mondo dello spettacolo. Fanno parte dell’archivio Pozzar le lastre su vetro originali dell’archivio del Lloyd Adriatico con la documentazione dei cantieri navali e della flotta austroungarica. Intorno agli anni ’50 del XX secolo, Ruggero (Geri) Pozzar, nato nel 1939, affianca il padre nella sua attività, prendendo ben presto una direzione diversa: nascono infatti i suoi celebri ritratti di intellettuali (pittori, scrittori, attori), talora scomodi e irregolari, e la serie dei nudi. La Trieste della tradizione incontra attraverso la fotografia del giovane Pozzar quella dell’anticonformismo e della trasgressione.

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Folco Quilici
Folco Quilici
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Noto scrittore e documentarista cinematografico e televisivo, il nome di Folco Quilici (Ferrara 1930) si associa da tempo alla testimonianza del profondo rapporto tra uomo e mare. Specializzato infatti in riprese sottomarine, è molto popolare in Italia ma anche al di fuori dei confini nazionali. Dopo aver studiato regia presso il Centro Sperimentale di Cinematografia, gira il suo primo lungometraggio, ‘Sesto continente’, ricco di suggestive immagini subacquee dedicate ai mari australi, vincendo il Premio Speciale alla Mostra del Cinema di Venezia del 1954. Nel campo dei medio e corto metraggi sono oltre trecento i film di carattere culturale da lui realizzati. Negli anni Quilici alterna la documentaristica cinematografica all'attività di giornalista, emergendo grazie alle inchieste ed ai servizi speciali riguardanti ambiente ed civiltà ed all'attività di scrittore, pubblicando cospicua serie di saggi e narrativa grazie alla quale si aggiudica numerosi premi letterari a partire già dagli anni Cinquanta. Altri premi internazionali hanno riconosciuto il suo grande impegno anche nell'ambito della televisione culturale. I frutti della sua attività di fotografo, che Quilici coltiva parallelamente a tutto il resto a partire dal 1949, sono oggi custoditi in un archivio costituito da oltre un milione d’immagini, a colori e in bianco e nero, affidato agli Archivi Alinari. Quilici è stato dichiarato ‘Great Master for creative excellence’ all’International Photo Contest del 1998 ed ha ricevuto, dieci anni dopo, il premio 'La Navicella d'oro' 2008, assegnatogli dalla Società Geografica Italiana con la motivazione di “[...] aver configurato un personale modello di cineasta-viaggiatore capace di esplorare e testimoniare con persuasivo rigore e poeticità i territori più rilevanti della cultura geografica, storica e artistica del passato e del presente, pervenendo a risultati stilistico-espressivi di notevolissimo valore ed ampia valenza comunicativa”.

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Guido Rey
Guido Rey
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Guido Rey (Torino 1861 – Torino 1935) fu alpinista e letterato, per professione legato alle aziende piemontesi dei Sella, con i quali era imparentato. E' considerato il più significativo rappresentante della fotografia pittorialista in Italia e fu assai conosciuto fin dai primi tempi anche all'estero, specialmente a Londra, ospitato nella rivista ‘The Studio’, e a Parigi ne ‘La Revue de photographie’ di Demachy e Puyo. Fu l'unico fotografo italiano accolto, con due delle sue fotografie, tra le pagine della prestigiosa ed elitaria rivista ‘Camera Work’ di Alfred Stieglitz, nel 1908, a New York. Appassionato di alpinismo, nel 1893 partecipò con alcune vedute di montagna all'esposizione del Club Alpino Italiano, di cui era socio. Guido Rey iniziò a fotografare nel 1885, proprio durante le scalate sulle Alpi, insieme al cugino Vittorio Sella, ma in breve si rivolse alla nuova moda del pittorialismo diffusasi ovunque, anche con il nobile intento di difendere l’arte fotografica dalla sua massificazione. Fu medaglia d'oro all'Esposizione Nazionale di Torino nel 1898 e a Firenze nel 1899. Nel 1905 espose alla mostra della Federazone americana delle Società fotografiche a New York , nel 1906 al Salon International del Photo-Club di Parigi e nel 1909 all'Esposizione di Dresda. Rey sviluppò il lato più artistico della fotografia, influenzato in un primo momento dalle correnti pittoriche del suo tempo. Il suo pittorialismo si differenzia da quello generalmente praticato soprattutto dai fotografi francesi, essendo progettato mediante ambientazioni scenografiche e scene in costume, simili a set cinematografici storici: ambienti di intimità familiare, interni ed esterni, riferiti soprattutto al mondo classico greco e romano, ma anche alla pittura fiamminga, con riferimenti espliciti nella struttura, nella luce, nei punti di vista e nei soggetti, a noti dipinti come quelli di Vermeer. A Rey interessa la resa concreta dell'immaginario, della realtà ilusoria: i suoi scatti sembrano delle vere e proprie istantanee riprese da una macchina del tempo, e vengono definiti da E. Thovez (uno fra i primi critici a valorizzare la componente concettuale della fotografia) “evocazioni di vita antica elaborate in modo da raggiungere un'intimità espressiva che fa dimenticare il fotografo, la composizione, l'anacronismo, per lasciar operare sui nostri occhi e sulle nostre anime la scena nella sua piena efficacia.”.

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Robert Rive
Robert Rive
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(?-?)

Probabilmente di origine francese, è attivo a Napoli a partire dai primi anni Sessanta dell’800 come vedutista e ritrattista legato a schemi estetici di gusto romantico. Svolge ampie campagne fotografiche non solo nella città partenopea ma anche nelle maggiori città italiane come Firenze, Pisa, Roma, Venezia, Genova e soprattutto in Sicilia. Partecipa all’esposizione Universale di Parigi del 1867 ottenendo un brevetto per una carta fotosensibile da lui inventata.

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Franz Ettore Roesler
Franz Ettore Roesler
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(1845 – 1907)

Franz Ettore Roesler fu un autore molto noto per la serie di acquerelli del Museo di Roma dal titolo Roma pittoresca o Roma sparita. Roesler Franz nel decennio 1880-1890 analizza fotograficamente quel volto urbano della Roma papale, che la nuova funzione di capitale del regno andava di giorno in giorno stravolgendo sotto il piccone delle demolizioni. Negli intricati dedali di viuzze medievali, nell’aprirsi improvviso di prospettive barocche e rinascimentali, il fotografo sembra attratto soprattutto dalla presenza umana e dall’animazione della vita che viene infatti indagata nella triste e pittoresca realtà del quotidiano. Roesler Franz documenta il tessuto urbano meno evidente e più desueto di Roma, quella realtà lontana dal fasto e dalla magnificenza.

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Pietro Ronchetti
Pietro Ronchetti
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(Milano 1924 - Milano 1977)

Studia Ingegneria al Politecnico di Milano e svolge la sua attività professionale sempre nella stessa azienda fino all’età della pensione. Ha la mentalità e la passione dello studioso e i suoi interessi si concentrano sulla storia e sulla civiltà del Vicino Oriente dopo aver spaziato dalla musica alla letteratura, alla teologia.

Negli anni Cinquanta scopre la fotografia di viaggio, poi sviluppa sempre più un forte interesse alla fotografia in bianco e nero, studiando tutti i suoi effetti con la fedele Rollei-Flex.

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Giorgio Roster
Giorgio Roster
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(Firenze 1843- Firenze 1927)

Si laurea nel 1864 in medicina e chirurgia alla Regia Università di Pisa. Medico e chirurgo di fama accademica studioso di grandi interessi e illustre esponente della fotografia scientifica toscana, si applica soprattutto alla telefotografia e alla fotomicrografia con risultati spesso citati dalle riviste internazionali d’epoca. Infatti per Roster, come per molti altri scienziati della sua epoca, l’interessamento alla fotografia si spiega come l’inevitabile appropriazione  di uno degli strumenti più attendibili  a disposizione degli studiosi della seconda metà dell’Ottocento per una metodologia positiva, trovando nell’obiettivo fotografico il più fedele alleato.

Nel 1887 a Firenze, in occasione della prima Esposizione Italiana di Fotografia, Roster espone alcune immagini istantanee e una collezione di fotomicrografie relative all’igiene e alla parassitologia, ottenendo due medaglie di bronzo. Le sue fotomicrografie, vengono premiate nelle più importanti esposizioni di fotografia e di medicina fra cui medaglia d’argento a Vienna nel 1888, medaglia d’argento a Bruxelles nel 1891, fino ad ottenere il Grand Prix all’Esposizione di Anversa del 1892. In qualità di Presidente della Società Fotografica Italiana dal 1890 al 1894 entra in contatto con altri professionisti della fotografia come Vittorio Alinari, Carlo Brogi, Mario Nunes Vais con i quali sperimenta le molteplici potenzialità della nuova tecnica di riproduzione.

Giorgio Roster lascia uno straordinario quanto mai raro repertorio di immagini di tipo scientifico, enciclopedico, esemplificativo sia della sua personalità che della cultura dell’Ottocento.

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Auguste Salzmann
Auguste Salzmann
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(Ribeauvillè 1824 – Ribeauvillè 1872)

Durante un soggiorno a Gerusalemme nel 1854, Salzmann realizzò centossessantaquattro immagini pubblicate poi, nel 1856, nell'album Jérusalem: études et reproductions photographique des monuments de la Ville sainte, depuis l'époque judaique jusqu'à nos jours, una delle più grandi opere di archeologia illustrata pubblicate nell'Ottocento. Spesso le immagini  presentano una qualità e un equilibrio nel taglio della ripresa da risultare quasi una costruzione geometrica astratta, una composizione pittorica dove il particolare archeologico diviene a sua volta elemento decorativo per una nuova visione estetica. In tal senso Salzmann può essere considerato uno tra i più importanti fotografi del periodo della calotipia e la sua campagna fotografica a Gerusalemme non solo corrisponde a quanto richiesto dagli archeologi dell'epoca, che nel mezzo fotografico trovavano l'unico vero supporto capace di vedere il dettaglio, ma rappresenta per l'autore l'avvio di una carriera di archeologo fotografo. La “camera oscura” diviene parte integrante del suo lavoro di studioso, consentendogli di realizzare immagini ben diverse dalle documentazioni celebrative dei monumenti storici realizzate nei viaggi da fotografi come Du Camp.

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Pascal & Policarpe JOAILLIER Sebah Joaillier
Pascal & Policarpe JOAILLIER Sebah Joaillier
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Pascal Sebah è un levantino il cui studio si chiamava “El-Chark” nella via Postacilar del quartiere di Pera a Istanbul. Viene premiato con medaglie alle esposizioni universali di Parigi, Vienna e Filadelfia. Il successo lo porta ad aprire un altro studio al Cairo nel 1873.

Lavora in stretta collaborazione con Béchard. Nel 1884 il fotografo Policarpe Joaillier anch’egli stabilitosi ad Istanbul diventa il suo socio e i loro due nomi costituiscono la ragione sociale di questa azienda che si svilupperà fino al 1888. I successori Iskender e Perpanyani ritennero per motivi di notorietà di mantenere il nome dei fondatori.

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Vittorio Sella
Vittorio Sella
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(Biella 1859- Biella 1943)

Vittorio Sella fu un alpinista ed un fotografo di montagna, dalle Alpi al Polo Nord, dal Ruwenzori all’Himalaya, sviluppò un forte interesse antropologico, oltre che “topografico”.

Vittorio Sella era figlio di Giuseppe Venanzio (1823 - 1876), uno studioso di chimica a Parigi, autore di uno dei primi manuali di fotografia italiani, “Plico del fotografo” (1856), un volume che ebbe un notevole successo anche all’estero e particolarmente in Francia, per la precisione e l’ampiezza dei testi. I Sella furono lungamente impegnati, nell’omonima azienda laniera, sorta a San Gerolamo di Biella, dove tuttora è conservato con grande cura e passione dal discendente Lodovico Sella, l’Archivio fotografico Sella, nell’ ‘Istituto di fotografia della montagna’. Anche uno zio di Vittorio si occupò di fotografia, il suo nome era Quintino Sella, e fu estremamente noto per aver ricoperto la carica di Ministro nel primo Regno d’Italia ed essere stato tra i fondatori del Club Alpino Italiano, attivo dal 1863. Vittorio Sella partecipò come fotografo a numerose spedizioni, anche con il Duca degli Abruzzi, a sua volta avventuroso esploratore, specialmente in Alaska, raccogliendo, come pure sul Ruwenzori, un prezioso corpus di immagini geografiche sociologiche e antropologiche. Il fotografo americano Ansel Adams dedicò a Vittorio Sella, in occasione della sua scomparsa, un memorabile saggio, dove vengono sottolineate “la vastità del soggetto e la purezza delle interpretazioni di Sella, in grado di commuovere colui che le guarda, fino alla soggezione religiosa”; un commento che gratifica come pochi altri, la straordinaria opera fotografica di Vittorio Sella.

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Carlo Baldassarre Simelli
Carlo Baldassarre Simelli
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(Stroncone 1811- Roma 1877)

Carlo Baldassarre Simelli frequenta a Roma gli studi artistici e si dedica inizialmente alla pittura, finché non diviene fotografo riscuotendo subito grande successo, tanto che nel 1857 fotografa i contrafforti della Cupola Vaticana per incarico della Fabbrica di San Pietro. Nel 1864 esegue le fotografie di corredo all’opera Antiquités Chrétiennes de Rome di Barbier de Montault e negli anni 1868-1869 è collaboratore di Parker. Nel 1870 partecipa alla Mostra Cattolica a Roma con una serie di fotografie di archeologia cristiana. Dal 1870 al 1873 sposta il proprio studio a Frascati allo scopo di realizzare sul territorio fotografie con soggetti rurali ad uso degli artisti. Rientra successivamente a Roma dove muore nel 1877.

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Emilio Sommariva
Emilio Sommariva
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(Lodi 1883 – Milano ? 1956)

Arrivato a Milano a diciannove anni Emilio Sommaria inizia a praticare la fotografia come garzone di bottega dedicandosi contemporaneamente alla pittura. Nel 1904 apre un suo studio che sposterà nel 1913 in via San Paolo e nel quale si formeranno allievi come Castagneri e Crimella. Nel 1911 gli vengono assegnati una medaglia d’oro all’Esposizione Internazionale di Roma ed un diploma d’onore a quella di Torino. Nel 1922 il suo notevole successo è celebrato sulla stampa all’Esposizione internazionale di fotografia di Londra  e nel 1923 si distingue alla Prima Esposizione Internazionale di Fotografia Artistica di Torino. Sommariva si qualifica soprattutto nei ritratti, attirando nel proprio studio sia la borghesia milanese sia gli artisti che immortala in celebri scatti. E’ inoltre autore di paesaggi che si discostano dalla maniera pittorialista. 

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Giorgio Sommer
Giorgio Sommer
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(Francoforte sul Meno 1834- Francoforte sul Meno 1914)

Giorgio Sommer si avvicina giovanissimo alla fotografia, quasi per gioco, ma gravi motivi economici familiari lo portano ben presto dal campo del dilettantismo a quello del professionismo fotografico. Le sue prime prestazioni lo vedono attivo in Svizzera. Nel 1857 apre uno studio a Napoli, dove si sposa e dove vive per tutta la vita spostandosi solo per le varie riprese fotografiche che lo impegnano un po' in tutta Italia. Dal 1860 fino al 1872 appare in società con il conterraneo Behles, grande amico col quale lavora firmando alternativamente la loro produzione fotografica. Nel 1873 pubblica un nutrito catalogo a stampa del suo repertorio mentre nel 1900 fa stampare il Catalogo di fotografie d’Italia Malta & Tunisia dove sono presenti, per incarico della Confederazione Elvetica, una serie di rilievi orografici al fine di documentare la possibilità di realizzare nuove strade. Successivamente arriva a Roma dove si cimenta in riprese della città moderna e antica nella speranza forse di inserirsi nel fiorente mercato romano. Nel 1857 ritiene opportuno aprire uno studio a Napoli. Nel 1875 è premiato per i suoi meriti da Vittorio Emanuele II; nel 1867 partecipa all’Esposizione di Parigi e riceve una medaglia di bronzo.

Giorgio Sommer, oltre allo studio fotografico, fu anche proprietario di una fonderia di bronzi artistici, come testimoniano i suoi cataloghi a stampa.

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Gaspard-Felix Tournachon Nadar
Gaspard-Felix Tournachon Nadar
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Gaspard-Felix Tournachon detto Nadar (Parigi 1820 – Parigi 1910) non dev'essere ricordato solo come uno dei più grandi fotografi del mondo, ma anche come una delle più interessanti e poliedriche personalità del XIX secolo. Caricaturista, novellista, aerostiere, giornalista dall'età di vent’anni circa: scrisse e disegnò per alcuni giornali parigini, fu soprattutto esperto di caricature di personaggi emergenti nell'ambiente culturale e politico della città. Nel 1853 progettò la realizzazione commerciale di una grande serie litografica, ‘Pantheon Nadar’ che avrebbe dovuto illustrare centinaia tra i protagonisti della vita parigina (da pittori a musicisti, fino a uomini politici) opera che faticosamente realizzò suscitando però alcune reazioni, a causa delle vignette disegnate manualmente nel poster. Nel 1854, decise di dedicarsi alla fotografia professionalmente e aprì un primo atelier con il fratello più giovane, Adrien, con il quale dopo non molto ebbe delle incomprensioni. Decise così di continuare l'attività da solo in Rue Saint-Lazare e in seguito si spostò in uno spazio ancora più grande, in Boulevard des Capucines. Qui nel 1874 ospitò la prima rassegna dei pittori Impressionisti, dei quali era amico solidale. I ritratti prodotti da Nadar si caratterizzano per la sua abilità nel cogliere i caratteri psicologici dei personaggi, solitamente ripresi di tre-quarti, per la naturalezza delle pose e per la sapiente orchestrazione di luci ed ombre. Le avventure di Nadar sono molte e tutte straordinarie: appassionato di volo in mongolfiera, costruì Le Géant, un enorme pallone ad aria calda che fu ispirazione per romanzi e personaggi dell'amico scrittore Jules Verne ed eseguì, nel 1859, le prime vedute aeree della storia. Due anni dopo fotografò con la luce artificiale, prodotta da lampade alimentate dalle pile Bunsen, le catacombe e le fognature di Parigi. Nel 1870, durante l'assedio prussiano di Parigi, organizzò un ponte aereo di mongolfiere che sorpassava le linee nemiche; nel 1886 progettò e realizzò la prima intervista fotografica, assieme al figlio Paul, al centenario scienziato Chevreuil, che venne pubblicata nel giornale ‘Le Figaro’. Nel 1849 Nadar istituì la Revue Comique e scrisse per numerose riviste di rilievo come "L'audience", "Le Chiarivari" e "La Vogue".

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Antonio Trombetta
Antonio Trombetta
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(Napoli 1831-Campobasso 1915)

Formatosi come pittore in ambiente napoletano, Antonio Trombetta inizia a dedicarsi alla fotografia intorno agli anni Sessanta. Resterà sempre legato alla propria identità artistica originaria, come dimostra il fatto che sul retro delle fotografie più precoci la sua firma è “Antonio Trombetta Pittore Fotografo”. Fonda successivamente lo “Studio Fotografico Trombetta” nel quale, a partire dagli anni Novanta, lo affianca il figlio Alfredo. Risulta spesso difficile, per gli anni di compresenza di padre e figlio nell’attività dello studio, distinguere il lavoro di ciascuno. Anche Alfredo infatti, per influenza paterna, si dimostra molto incline a quella visione pittorica che nella produzione dello studio porta ad esiti diversi ma di identica matrice, quali da una parte la realizzazione di “fotopitture” e dall’altra la tendenza pittorialista molto marcata nel lavoro di Alfredo. Lo Studio Trombetta costituì per lungo tempo il punto di riferimento principale per la fotografia in Molise, con una produzione che spaziava dalle riprese di paesaggi, ai monumenti, alla ritrattistica, ai costumi popolari e alla tradizioni folkloristiche e religiose e sotto la guida di Alfredo ottiene numerosi riconoscimenti ufficiali.

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Lodovico Tuminello
Lodovico Tuminello
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(Roma 1824- Roma 1907)

Ludovico Tuminello fu un pioniere della fotografia a Roma, dove è attivo dal 1842 circa. Coinvolto nei moti liberali della Repubblica romana, si rifugia a Torino dove risiede dal 1849 al 1869. Qui si dedica alla produzione di vedute e di ritratti, ricevendo nel proprio studio i maggiori esponenti della borghesia sabauda e partecipando, premiato con una medaglia di bronzo, all’Esposizione Nazionale dei Prodotti Industriali del 1858. Tra il 1859 ed il 1861 segue il marchese Orazio Antinori nella sua spedizione in Egitto e Sudan e riporta dal viaggio una interessante serie di immagini realizzate in calotipia. Parteciperà successivamente anche ad altre spedizioni del marchese, in Sardegna e Tunisia, documentandole fotograficamente.

Nel 1869 fa ritorno a Roma ed apre uno studio in via Borgognona 82 e poi in via Condotti 21, subentrando a don Antonio d’Alessandri nella carica di fotografo ufficiale di Pio IX. Nel 1870 è autore delle riprese fotografiche degli accampamenti militari delle truppe italiane che assediano la città e nello stesso anno partecipa con il fotografo Angiolini all’Esposizione Fotografica di Firenze. Parteciperà in seguito all’Esposizione Universale di Vienna del 1873 e a quella di Parigi del 1878, dove sarà premiato con una medaglia di bronzo.

Tuminello, benché attento sperimentatore di tutte le tecniche fotografiche, ottiene ottimi risultati con il calotipo che continua ad utilizzare per lungo tempo apprezzandone le specifiche caratteristiche estetiche, anche dopo che tecniche più avanzate l’avevano ormai sostituito nella pratica comune.

Nel 1903, quando si ritira dall’attività, il suo archivio viene disperso all’asta: solo una piccola parte dei negativi sono stati salvati e sono oggi conservati presso l’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione di Roma.

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Enrico Unterveger
Enrico Unterveger
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(Trento 1876- Trento 1959)

Apprende l’arte fotografica affiancando il padre che esercita la professione di fotografo a Trento già dal 1854 e al quale subentrerà nella conduzione dello studio. Nel 1895 frequenta una scuola tecnica di fotografia a Vienna e nel 1897 un corso sulla fototipia a Norimberga. Appassionato alpinista, predilige la fotografia di montagna che riproduce in cartolina con la tecnica fototipica introducendola per primo in Trentino. Si cimenta inoltre con successo nelle tecniche pittorialiste come la stampa al carbone, la gomma bicromata, il bromolio.

A causa dei propri sentimenti irredentisti, ostili al dominio austriaco, viene imprigionato per sette mesi a Vienna nel 1909. Nel 1915 viene deportato a Katzenau ed il suo studio viene completamente distrutto.

Dopo la guerra riesce a riprendere la propria attività e negli anni Trenta trae dall’incontro con Marinetti nuova ispirazione per la produzione di fotomontaggi che fanno avvicinare la sua attività all’ambito futurista. Nel 1943 lo studio è nuovamente raso al suolo da una bomba.

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Giuliano Valsecchi
Giuliano Valsecchi
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(Genova 1945)

Giuliano Valsecchi nasce a Genova nel 1945, dove inizia le sue esperienze dedicandosi alla fotografia e alla scienza applicata all'arte e alla comunicazione visiva. A Firenze nel 1973 si laurea in Architettura e prosegue l'attività di fotografo realizzando servizi fotografici a carattere naturalistico-scientifico (Multimedia Fabbri, Campagna pro-salvaguardia dell’ambiente Regione Toscana) ma sopratutto servizi di immagini su città, architetture, opere d'arte, archeologia, territorio e paesaggio. Negli anni successivi estende i suoi  interessi alla documentazione di diversi ambienti e attività umane, mantenendo viva la produzione di servizi  fotografici d' arte, architettura, scienza e natura richiesti da numerosi editori di libri e periodici.  Negli anni '80  socio di K&B news, (agenzia fotografica editoriale) inizia un proficuo periodo di produzione fotografica sulle città e sull’ambiente, in Italia ed in  Europa, effettuando numerosi viaggi fotografici, documentando il territorio e le realtà urbane, dedicando una particolare attenzione all'arte nei musei, nelle chiese e all'archeologia. Estende inoltre l'attività fotografica al genere Food (Still-life) e food-styling, che attualmente affianca gli altri generi fotografici.

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Enrico Van Lint
Enrico Van Lint
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(Pisa 1808 – Pisa 1884)

Enrico Van Lint inizia la sua carriera artistica come scultore seguendo le orme del padre e conduce un’attività di commercio di “oggetti di belle arti”. Inizia a dedicarsi alla fotografia probabilmente dalla fine degli anni ‘40, e negli anni Sessanta è presente e premiato in varie esposizioni nazionali ed universali (Firenze 1861, Londra 1862, Parigi 1867, Pisa 1868).

Accanto alla produzione di ritratti in studio, il repertorio delle fotografie realizzate da Van Lint si concentra soprattutto sulla documentazione delle opere d’arte e di architettura della città di Pisa. Tuttavia, alcune stampe ritrovate recentemente hanno affrancato la figura di Van Lint dai confini della sua città natale, che era sempre stata considerata il suo unico campo di azione, rivelando che fu autore anche di riprese dei monumenti di Lucca, Pietrasanta e Firenze.

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Giuseppe Vannucci Zauli
Giuseppe Vannucci Zauli
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(Empoli 1917- Empoli 1988)

Avvocato e fotografo, Giuseppe Vannucci Zauli appartiene ad una delle famiglie più rappresentative della borghesia empolese dalla metà dell’800 in poi. Si avvicina alla fotografia durante gli anni dell’università insieme all’amico Alex Franchini-Strappo. Durante gli anni Quaranta e Cinquanta frequenta il gruppo dei fotoamatori fiorentini e lavora con Vincenzo Balocchi, rielaborando successivamente le immagini prodotte con il maestro. Nel 1943 pubblica insieme ad Alex Franchini-Strappo Introduzione per una estetica fotografica e nel 1945 Il bello fotografico, testo che raccoglie le immagini di molti dei migliori fotografi dell’epoca. Tra il 1941 e il 1955 realizza la maggior parte dei propri negativi che poi rielabora, creando nuove immagini, fino agli anni Sessanta.

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Wilhelm von Gloeden
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(Mecklenbourg 1856 – Taormina 1931)

Wilhelm von Gloeden, barone tedesco, dopo aver compiuto studi artistici a Weimar e aver percorso l'Italia seguendo le tappe del tradizionale Grand Tour si stabilisce a Taormina in una casa con giardino che diventerà anche il suo atelier fotografico. Durante la sua permanenza in Sicilia, apprende da Giovanni Crupi la tecnica fotografica nella quale si impegna con sempre maggiore entusiasmo, anche nel tentativo letterario di “ricostruire” in immagine possibili scene del mondo antico d'Arcadia, sullo sfondo emblematico dell'Etna e del mare di Ulisse. Dal 1882 circa, inizia a comporre le sue immagini con la collaborazione di giovani “attori” locali, più spesso nudi che travestiti in costume greco, con assonanze audacemente erotiche, che lo hanno indicato subito, non sempre giustamente, nell'ambito di una fotografia che per quei tempi era ritenuta addirittura pornografica. Nel 1895 in seguito ad uno scandalo che coinvolse il patrigno, il barone di Hemmerstein, von Gloeden perde i sostegni finanziari, trovandosi costretto a trasformare la sua passione fotografica in vera e propria professione impegnandosi anche in una serie di fotografie d'ambiente folkloristico, commercializzate ai turisti, specialmente dopo il terremoto di Messina e Reggio Calabria del 1908. Fra il 1897 e il 1906 riceve diversi premi e riconoscimenti e nel 1906 la medaglia d'oro del Ministero della Pubblica Istruzione Italiana. In quanto straniero durante il conflitto 1915-18 lascia l'Italia. Al suo rientro a Taormina nel 1918 riprende il lavoro e commercializza le immagini ristampandole dai negativi precedentemente eseguiti. 

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Atelier Wulz
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Studio fotografico triestino tra i più importanti della città austroungarica, fondato da Giuseppe e portato avanti dall’attività del figlio Carlo e dalle nipoti Marion e Wanda, quest’ultima tra i più grandi nomi della fotografia mondiale. La produzione fotografica dell’atelier è diversificata a seconda delle varie personalità che vi hanno operato, dalla documentazione della città nella seconda metà dell’Ottocento ai capolavori della ritrattistica anni Trenta di Carlo e Wanda fino alle testimonianze di guerra di Marion.

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Carlo Wulz
Carlo Wulz
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Erede del 'Grande Atelier Wulz' dopo la morte del padre e fondatore Giuseppe, Carlo Wulz (Trieste 1874- Trieste 1928) esegue con perfezione e rigore tecnico fotografie di vario genere, in particolar modo ritratti. Nel 1891 l'Atelier Wulz viene sistemato definitivamente in Palazzo Hirschl, e nel 1910 Carlo vi lavora con ben altre aspirazioni rispetto a quelle paterne: non sente propri i panni del fotografo di mestiere, condizionato a produrre stereotipate carte-de-visite sullo sfondo Biedermeier di oggetti in voga ed ambientazioni di moda tra i clienti piccolo borghesi. La sua ansia d'artista non può risolversi nella routine a lui ben nota, le sue fotografie hanno ambizioni superiori. Attivo tra 1885 e 1928, si trova infatti partecipe di quello che è il dibattito sulla fotografia artistica, avverte le potenzialità e sente l'esigenza di emancipazione di quello che fino ad allora è stato considerato più che altro un mezzo meccanico. Studia l'opera dei più audaci fotografi di Vienna e Monaco, personalità d'avanguardia della fotografia artistica, resa con nuove tecniche quali la gomma bicromata o il bromolio, volte a rendere l'effetto 'flou' subito appreso da Wulz. In particolare agli inizi della sua attività, Carlo si dedica alla fotografia di gruppo, realizzando ritratti che celebrano diverse categorie professionali: panettieri, osti, birrai, saldatori, calzolai, maestri scalpellini, infermiere, sartine, ciclisti, ginnasti, orchestrali. Molti anche i ritratti di famiglia – in particolare quelli delle figlie – nei quali si rivelerà un ritrattista che punta sulle sfumature, sui giochi di luce, per procedere ad una sottile penetrazione psicologica del soggetto. Le figlie Wanda e Marion, fotografate in casa o in occasioni ufficiali, esulano da tutte le tipologie convenzionali di ritratto per apparire in immagini i cui caratteri vengono esplorati a fondo, fotografie nelle quali il gioco intenso dei chiaroscuri e degli sfumati evidenzia la morbidezza dei volti, l'intensità degli sguardi, ma anche dolcezza, comunicazione affettiva, sensibilità con tratti sensuali. A Carlo Wulz è dovuta anche un’interessante serie di penetranti ritratti di artisti contemporanei triestini di grande incisività e interpretazione. Premiato a Monza nel 1925 alla Seconda Mostra Biennale Internazionale delle Arti Decorative e poi anche alla Terza rassegna del 1927, le immagini di Carlo occupano un posto significativo nella storia della fotografia internazionale del nostro secolo.

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Wanda Wulz
Wanda Wulz
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Sulla scia del padre Carlo Wulz, Wanda (Trieste 1903- Trieste 1984) che alla sua morte assume con energia la conduzione dell’ormai noto studio triestino, approfondisce la ripresa del ritratto in ‘atelier’ che così diventa una sorta di tradizione familiare, avvalendosi della collaborazione della sorella Marion (1905-1990). Come Carlo rispetto al padre Giuseppe, anche Wanda ha nei confronti di Carlo, agli esordi del suo esercizio, un rapporto di dipendenza dalla lezione paterna. Ma se in tutta la sua attività farà proprie certe conquiste del linguaggio elaborato e sottile del padre, punterà poi ad uno stile aggiornato e innovativo, dimostrando grande creatività: i suoi scatti sono caratterizzati da giochi di luci più intensi, ricchi di contrasto e in alcuni casi di movimento. Nel 1930 Wanda raccoglie i primi consensi all'estero e in Italia: viene ammessa a pieni voti alla “Biennale d’Arte Fotografica di Roma” dove espone sei opere, nel 1931 quattro fotografie vengono presentate alla Mostra Fotografica Internazionale alla XII Fiera di Milano. Ma è nel 1932, in occasione del decennale della Rivoluzione Fascista, che ottiene un definitivo consenso sia per i felici ritratti che per le sorprendenti immagini di stampo futurista fra cui la 'Colazione Futurista' e in particolare la sovrimpressione ‘Io+ gatto’, guadagnandosi il giudizio ammirato di Marinetti che colloca la personalità di questa fotografa in posizione altissima nella cultura fotografica del Novecento. Ma furono sorprendenti anche altre tre immagini assolutamente guizzanti:  “Wunder-Bar”, “Jazz-band”, “Esercizio”, tutte novità assolute coerentemente inventate con lo strumento fotografico e al di fuori di schemi programmatici. Il nome di Wanda, dunque, è legato a un momento assai particolare della cultura triestina, italiana ed europea, ed è quello del rapporto con il futurismo, o meglio con la cultura d’avanguardia.

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Italo Zannier
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Biografia

(Spilimbergo 1932)

Fotografo e storico della fotografia italiano. Dopo aver intrapreso studi di architettura e di pittura, si è dedicato alla fotografia (dal 1952) e alla storia della fotografia (dal 1954). Tra i fondatori del Gruppo friulano per una nuova fotografia (1955), interessato a ricerche sociologiche e ambientali, ha lavorato prima in Friuli (1952-65) e successivamente su tutto il territorio nazionale, realizzando scatti professionali di documentazione della realtà industriale italiana e in seguito dedicandosi in particolare alla fotografia del territorio, testimoniata da 10 anni di attività fotografica in Italia (1967-76), e la realizzazione degli scatti fotografici per il progetto editoriale ENI “Coste d’Italia e Monti d’Italia”, in 9 volumi, uno dei quali interamente dedicato alla Sardegna. Impegnato nell'insegnamento dal 1971, Italo Zannier è stato il primo titolare di una cattedra universitaria di fotografia in Italia. Presidente dei comitati scientifici del Museo di storia della fotografia Alinari di Firenze e del Centro di ricerca e archiviazione della fotografia di Lestans, da lui fondato nel 1994; Insignito di varie onorificenze, tra le quali la laurea ad honorem in Lettere e filosofia dall’Università di Udine per il fondamentale apporto dato alla storia e alla diffusione della cultura della fotografia, e per l’impegno profuso nella conservazione e valorizzazione del patrimonio fotografico.

E’ membro, tra l'altro, della Société européenne d'histoire de la photographie.

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