Il formidabil monte. Il Vesuvio nelle fotografie dell'Archivio Alinari

Dal 3 dicembre 2021 al 30 aprile 2022 al MAV di Ercolano sono state esposte le immagini del formidabil monte__, fonte inesauribile di ispirazione per artisti e fotografi ma anche ospite feroce per le popolazioni delle pendici.

Croce e delizia del Golfo di Napoli, lo sterminator Vesevo cantato da Leopardi è il cuore dell’oleografia partenopea, col pennacchio più immortalato della Terra; ma è anche un creatore di drammi: le eruzioni che dal 79 dopo Cristo in poi seminarono terrore e morte tra la popolazione.

La mostra

Il percorso espositivo si compone di 58 fotografie che raccontano il formidabil monte, il territorio vesuviano e napoletano dalla metà dell'800 al 1944.

Il percorso del formidabil monte mostra colate laviche in raffreddamento, calchi delle vittime dell’eruzione del 79 dopo Cristo, signore col cappellino che si godono l’esotica escursione in portantina fino al cratere, signori eleganti in tuba e gilet che vagano fra le fumarole in attesa di ispirazione letteraria; ma poi anche i volti terrorizzati dei profughi che scappano dai paesi assediati dalla lava. Ottaviano, Boscotrecase, San Sebastiano al Vesuvio, Somma Vesuviana, Torre del Greco: famiglie che portano a spalla le masserizie, muri di lava e cenere che ostruiscono le strade, lo smarrimento degli adulti, lo spavento dei bambini.

L'esibizione è articolata in due sezioni. La prima – "Tra fotografia del Grand Tour e sperimentazione" – è suddivisa in quattro sottosezioni: "Lava", "Napoli e il Vesuvio", "Pompei e Ercolano", "Passeggiate vesuviane". La seconda, intitolata "Eruzioni", ingrandisce gli eventi catastrofici che ebbero luogo nel 1872, nel 1895, nel 1905 e nel 1944, l’ultimo risveglio del vulcano, 77 anni fa.

Tra fotografia del Grand Tour e sperimentazione

Il Settecento era stata l'epoca d'oro del Grand Tour per Napoli, con la scoperta di Pompei ed Ercolano. Il viaggio romantico e intellettuale continua con grande fortuna nell’Ottocento, l’era del pittoresco e del sublime. La fotografia diventa subito tra i più richiesti souvenir di viaggio e il formidabil monte è uno dei soggetti privilegiati: sullo sfondo di ampie vedute, con il suo pennacchio fumante o visto dal di ‘dentro’ nella forza delle sue colate laviche.

A Napoli si registra una straordinaria concentrazione di fotografi, in gran parte stranieri come gli stessi viaggiatori, che contribuiranno a creare un’iconografia del Vesuvio ancora legata ai modelli pittorici. Un vulcano 'messo in posa' per il piacere di turisti e viaggiatori a passeggio per il Golfo, il Paese del Sole. Mentre scienziati meticolosi come Giorgio Roster indagano sulla polvere lavica.

La selezione proposta coglie alcune tappe dell'evoluzione della tecnica fotografica come il raro negativo su carta di de Beaucorps, di cui presentiamo il positivo, la colorazione manuale delle diapositive in lastra di vetro di Giorgio Roster e il procedimento fotomeccanico delle vedute degli scavi di Pompei. O ancora le suggestive immagini tratte da un prezioso album di James Graham dedicato alla sorella.

Con l’eruzione del 1872 qualcosa cambia. Il Vesuvio mostra il suo volto feroce. Le macerie occuperanno l'inquadratura togliendo la visuale agli ampi panorami. L’attenzione di alcuni degli stessi fotografi al servizio del Grand Tour si volge ora a temi di attualità, di racconto e documentazione di eventi.

La splendida immagine da cartolina dell’Italia del Sud inizia a lasciare spazio a una nuova iconografia. Ne troviamo eco in linguaggi artistici diversi e lontani nel tempo come la serie Vesuvius di Andy Warhol che fa riferimento, tra altre fonti, alla fotografia di Giorgio Sommer sull’eruzione del 1872.

Eruzioni

Il pennacchio del Vesuvio, per secoli un obbligo in disegni e racconti di vedutisti e viaggiatori, sparì nel 1944. In quella primavera esplosioni, terremoti, piogge di cenere e fontane di lava si aggiunsero al frastuono della guerra. Poi il condotto principale si chiuse per i collassi e gli accumuli di materiale e il monte entrò in un sonno che dura da 77 anni.

Le eruzioni devastanti sono l’altra faccia dell’oleografia vesuviana, e il terrore delle popolazioni che comunque abitano le pendici. Quella del 79 dopo Cristo immobilizzò in un calco eterno Pompei, Ercolano e Stabia: fu ciò che i vulcanologi definiscono un fenomeno esplosivo di tipo pliniano, e avviò una fase di attività che attraverso altre grandi eruzioni - su tutte quella del 1631 - durò fino alla metà del Novecento.

La mostra documenta quattro attimi nei due ultimi secoli di vita del vulcano. Il 1872, quando San Sebastiano e Massa di Somma furono parzialmente distrutte dalla lava; il risveglio del 1895, quando le colate laviche, continuate fino al 1899, diedero origine a una collina che fu intitolata a Umberto di Savoia; l’eruzione del 1906, la più distruttiva del ventesimo secolo, che invase Boscotrecase, San Giuseppe, Ottaviano e fece oltre duecento morti.

Infine, le settimane del 1944, evocate da Curzio Malaparte nel romanzo La pelle e ancora vive nella memoria dei più anziani. Poi il Vesuvio si fermò. Da allora tace, ma la gente del Golfo continua a scrutare con apprensione le sue cime.

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