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La sottilità dell’aria. Arezzo e il suo territorio negli archivi Alinari
L’esposizione “La sottilità dell’aria. Arezzo e il suo territorio negli Archivi Alinari”, dal 2 dicembre 2022 al 31 ottobre 2023 alla Casa Museo Ivan Bruschi di Arezzo, apre una finestra su cento anni di storia del territorio aretino, dal 1856 al 1954.
Ne emerge un contesto naturale connotato da una grandiosa discontinuità paesaggistica e, ben al di là delle stesse intenzioni dei singoli fotografi, un focus del suo paesaggio sociale: un sistema di vallate delimitate da archi collinari e montagne elevate, punteggiato da una grande ricchezza di testimonianze artistiche medievali; un’economia prevalentemente basata sull’agricoltura che vede però l’avvio di importanti iniziative industriali. Insomma, una terra di contadini, lavandaie, pastori, monaci, uomini e donne d’ingegnosa laboriosità.
Se rapportate all’oggi, queste immagini fanno emergere elementi di continuità e rilevanti mutazioni paesaggistiche e sociali. Le ampiezze dei variegati orizzonti e le tracce vivide di una lunga storia di creatività possono essere sintetizzate in quella ‘sottilità dell’aria’ a cui Michelangelo, scherzando con Vasari, attribuiva il proprio ingegno.
Questa è la prima di una serie di mostre che la Fondazione Alinari vuole dedicare alle città toscane.
Mostra organizzata daFondazione Ivan Bruschi, parte del patrimonio di Intesa Sanpaolo
In collaborazione con Fondazione Alinari per la Fotografia
Si ringraziaMuseo MINE - Museo delle Miniere e del Territorio di Cavriglia (AR)
Mostra a cura diRita Scartoni, con la collaborazione di Muriel Prandato
La mostra
Onde Michelangelo ragionando col Vasari una volta per ischerzo disse: "Giorgio, s' i' ho nulla di buono nell'ingegno, egli è venuto dal nascere nella sottilità dell'aria del vostro paese d'Arezzo; [...]
Giorgio Vasari, Le vite de' più eccellenti pittori, scultori ed architettori, Firenze, 1568.
Nel 1856 gli Alinari fotografano la Chiusa delle Chiane, vicino Arezzo. A partire da quella data, Alinari e Brogi, fotografi editori, come loro stessi si definivano, riprenderanno le terre d’Arezzo, all'interno della loro monumentale opera di documentazione del patrimonio culturale italiano.
Proprio a partire dal territorio aretino Vittorio Alinari intraprende, nel 1908, un viaggio fotografico lungo il corso dell’Arno.
Nel Novecento Aurelio Monteverde e Vincenzo Balocchi danno una nuova lettura visiva al territorio.
E ancora, un prezioso album conservato negli Archivi Alinari raccoglie lo straordinario valore del lavoro di documentazione delle miniere di lignite del Valdarno.
Il percorso espositivo, che si sviluppa in quattro sezioni, si compone di 56 stampe fotografiche oltre alle riproduzioni digitali dell’album Miniere di lignite del Valdarno.
Alinari e Brogi: fotografi editori
Locandina
Link al catalogo digitale
Alinari e Brogi, fotografi editori, effettuano il primo grande censimento visivo dell’arte e del paesaggio italiano, tramandandoci una monumentale opera ‘civica’ del nostro patrimonio.
Gli Alinari lo fanno attraverso il loro “stile”: una costruzione dell’immagine ispirata a criteri compositivi di simmetria, assialità e ordine prospettico sotto una luce diffusa che rende leggibile il più piccolo particolare.
Nei cataloghi Alinari di vendita delle fotografie i soggetti relativi al territorio aretino vedono un progressivo incremento a partire dal 1876, e mostrano un rilevante lavoro di ricognizione dei principali luoghi d’arte medievale, dei capolavori di Piero della Francesca, nonché dell’arte contemporanea, come il monumento a Francesco Petrarca inaugurato nel 1928.
Gli stabilimenti Brogi e Anderson confluiscono in Alinari alla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso; da quel momento i tre grandi “fotografi editori” si trovano riuniti negli Archivi Alinari.
Il fiorentino Giacomo Brogi (1822-1881) inizia l’attività di fotografo intorno agli anni Cinquanta dell’Ottocento. Si cimenterà nelle riprese d’arte, paesaggio e costume in Toscana e in Italia, affiancate da una raffinata produzione di ritratti. Nel 1881, alla morte di Giacomo, la conduzione della società passa al figlio Carlo (1850-1925), che ne consolida la dimensione industriale. La selezione Brogi in mostra privilegia fotografie di paesaggio e architettura, due categorie per le quali la ditta Brogi aveva vinto già il primo premio alla “Melbourne International Exhibition” del 1880-81.
L'Arno di Vittorio Alinari
Fondazione Ivan Bruschi
Vittorio Alinari (1859-1932), imprenditore illuminato, subentra agli zii nella conduzione dell’azienda di famiglia, che porterà a una vera e propria dimensione industriale in grado di rispondere alle necessità dell’editoria d’arte e di viaggio a livello internazionale.
Le immagini presentate in questa sezione della mostra sono una testimonianza delle sue ricerche personali. Nel 1909 viene infatti pubblicata a Firenze, dalla stessa Fratelli Alinari, l’opera L’Arno di Vittorio Alinari e Antonio Beltramelli, con prefazione di Isidoro del Lungo. Vittorio esegue personalmente le fotografie, seguendo l’itinerario del fiume dalla sorgente alla foce. Un appassionato lavoro in cui emergono chiari riferimenti alla contemporanea fotografia pittorialista, nonché ad atmosfere e composizioni direttamente mutuate dalla pittura e dai macchiaioli toscani.
Vittorio abbandona qui la rigorosa lezione dei ‘padri’, che peraltro continua a adottare con convinzione a livello aziendale, per esplorare nuovi approcci che, nel corso del Novecento, condurranno alla piena affermazione della fotografia come sguardo soggettivo sul mondo.
Aurelio Monteverde: lo sguardo spensierato sugli anni ruggenti
Appassionato di automobili, Aurelio Monteverde (1872-1934), figlio dell’apprezzato scultore Giulio Monteverde, dopo essersi trasferito nella villa “Il Mulino” di Rovezzano a Firenze, installa nell’abitazione una camera oscura e organizza lunghe gite per le strade della Toscana.
La vivacità di questa comitiva scanzonata riempie le inquadrature: scherzi fanciulleschi nella neve, pose scherzose. I suoi sono ricordi di spensieratezza, gioiosi e vivaci. Le fotografie esprimono tutta l'esuberante spontaneità delle giornate trascorse insieme ai giovani compagni di viaggio. Appunti fotografici di gite in auto verso la Verna e giovani disinvolti che posano tra le merlature del castello di Poppi come in un palcoscenico. O che per gioco strappano un sorriso a favore di fotocamera ai riluttanti monaci di Camaldoli.
La gente del posto compare nelle foto come parte del paesaggio, un poco stupita e divertita dalla novità di questi eccentrici visitatori: giovanotti soddisfatti e signorine esuberanti dai guanti lunghi e scarpine alla moda che assaporano i primi irrinunciabili segnali di un’emancipazione femminile.
Vincenzo Balocchi: frammenti di un paesaggio
Il fiorentino Vincenzo Balocchi (1892-1975) fu Direttore del reparto fotomeccanico dell’Alinari IDEA spa. Terminata l’esperienza con la ditta Alinari, nel 1928 fonda il suo stabilimento grafico, l’Istituto Fotocromo Italiano. La sua passione per la fotografia lo renderà un protagonista di primo piano del panorama fotografico-artistico italiano.
Le immagini di Balocchi, pacate e silenziose, sono al di fuori dell’intento documentario, piuttosto esaltano il valore evocativo e artistico di architetture e paesaggi.
Più che mostrare, Balocchi ama raccontare la Toscana, le persone, gli oggetti, con vezzo poetico e minuta sensibilità “mediterranea”. Lirico e sperimentatore, realizza l’immagine con pochi segni: i paesaggi e i monumenti diventano forme geometriche bidimensionali. Gli oggetti perdono consistenza e si trasformano in linee grafiche. Grazie alle inquadrature inconsuete o al punto di vista inusuale, spesso dall’alto, esprime la sua estetica sottile.
L'oro nero di Cavriglia: le miniere di lignite del Valdarno
Protagonista di questo racconto è la lignite, un combustibile fossile. Intorno a lei ci sono minatori, picconi, gallerie e binari. Uomini che per anni hanno scavato e bruciato il sottosuolo.
Dalla fine dell’Ottocento il Valdarno ha imparato a convivere con le cave. Dapprima poderi furono dati in affitto agli esercenti di miniera, poi dall’escavazione a cielo aperto si passò alle gallerie. La lignite fu utilizzata per la prima centrale elettrica, per le fabbriche di briquettes (le mattonelle di lignite) e come fonte energetica per la Ferriera di San Giovanni Valdarno che entrò in funzione nel 1873.
Nel 1905 nacque la Società Mineraria ed Elettrica del Valdarno (SMEV). Due anni dopo fu costruita la centrale elettrica. Ben presto gli agricoltori della valle sostituirono la zappa col piccone e divennero minatori.
Con le miniere il paesaggio si era trasformato. La campagna aveva ceduto il posto all’industria estrattiva, con le sue ciminiere, i capannoni, le teleferiche e le strade ferrate; e anche la società del Valdarno non sarebbe stata mai più la stessa.
La narrazione si appoggia alla memoria, e la memoria alla fotografia. Resta da chiarire chi siano gli autori di queste fotografie. Ciò sarà oggetto di ricerca e verifica negli Archivi Alinari, anche con preziosa collaborazione di Paola Bertoncini, direttrice del Museo MINE.
L’album Miniere di lignite del Valdarno fa parte della collezione Reteuna acquisita dagli Archivi Alinari il 17/02/2020, dimensioni dell’album cm 25x34x3.
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