Un omaggio a uno dei più grandi esponenti della fotografia del Novecento, Robert Mapplethorpe (New York, 1946 – Boston, 1989), tramite un raffronto inedito con gli scatti di Wilhelm von Gloeden (Wismar, 1856 – Taormina, 1931) e alcune immagini dei Fratelli Alinari: un confronto evocativo e a tratti puntuale, che rivela il ricorrere di temi comuni. Motivi che attraversano il tempo e giungono fino a noi, ponendosi come spunti di riflessione sull’attualità e su come arte, morale e spiritualità cambino e si evolvano nella loro reciproca relazione.
Le fotografie di Mapplethorpe e von Gloeden, pur traendo ispirazione dai canoni della classicità, sembrano condurre lungo traiettorie estetiche non scontate e a tratti perturbanti, sollevando interrogativi sul tema del corpo e della sessualità la cui eco risuona, a tratti immutata, nella cultura visiva contemporanea, dove la censura e il giudizio morale sono sempre pronti a mettere sotto accusa la bellezza e il desiderio.
La mostra mette in luce il rapporto di Robert Mapplethorpe con la classicità, nonchè il suo approccio scultoreo al mezzo fotografico. Il profondo interesse per l'antico, la passione per i maestri che lo hanno preceduto e l'attenta comprensione della statuaria, in particolare dell'opera di Michelangelo, sono delle costanti nella ricerca dell'artista.
Nelle sue composizioni, libere da ogni conformismo, i modelli figurativi del mondo classico e l'iconografia della tradizione cattolica rivivono sotto una nuova luce.
Appassionato collezionista di fotografie, Mapplethorpe conosce l'opera del Barone Wilhelm von Gloeden, con la quale ha forse la possibilità di confrontarsi ampiamente anche agli inizi degli anni Ottanta, grazie ai contatti con il gallerista Lucio Amelio e a un soggiorno a Napoli.
Von Gloeden, tra i pionieri della staged photography, celebra nelle sue composizioni un ideale richiamo al passato, concepito quale ineusaribile bacino di soggetti e suggestioni: un segno stilistico unico, che lo rende ancora oggi un'icona e costituisce un suggestivo riferimento per Mapplethorpe.
I soggetti, le pose, le atmosfere evocate da entrambi, così studiate e ponderate nella messa in scena, ci guidano alla scoperta di un'idea non convenzionale di bellezza e di eros.
Circa un centinaio di immagini sono esposte lungo un percorso visivo che mescola le opere degli autori coinvolti: Robert Mapplethorpe, Wilhelm von Gloeden e i Fratelli Alinari, in una continuità ideale che accompagna il visitatore lungo un viaggio nel “desiderio di bellezza”. Alla ricerca di quell’idea archetipica di bello ideale, di equilibrio geometrico, di armonia di forme e volumi.
"Come gli antichi erano pervenuti, elevandosi gradualmente, da una bellezza umana a quella divina, così questa rappresentò poi la misura della bellezza”, scrisse Johann Joachim Winckelmann in “Storia dell’Arte nell’Antichità”.
E’ con la misura della bellezza che gli autori in mostra si confrontano, in una ricerca stilistica che li accomuna nei gesti, nelle composizioni, nella messa in posa. Tanto da creare un tutt’uno con le loro opere, da cui si intravede un ideale, unico eppure indecifrabile.
Lo “spirituale nell’arte” ha molteplici forme. Le opere esposte al secondo piano sono imbevute di elementi simbolici e iconografici tramandati dalle tradizioni religiose. Dalla postura delle mani, alla testa reclinata. Il lungo velo che copre il capo delle donne e la forma simbolica della croce, rievocata da un sesso maschile scoperto, in una inquadratura che ricalca un dettaglio, quello del Cristo crocifisso, tanto frequente nell’iconografia cristiana.
Il simbolismo cattolico ha permeato la visione di questi autori, che, riprendendo elementi iconografici consolidati nella sua tradizione, si confrontano con temi quali l’innocenza, il peccato e la sublimazione della sofferenza.
Mapplethorpe ha espresso nella sua arte la ricerca del bello nella sua forma primordiale. La bellezza che non è nel soggetto (o nell’oggetto) fotografato, ma nella sua essenza formale. Le sue fotografie mostrano corpi nudi, muscoli in tensione, forme perfette, lisce, tanto vibranti quanto equilibrate.
Corpi nudi, soprattutto maschili, sono il soggetto prediletto dal Barone von Gloeden. Eterni adolescenti dalla pelle di cera, scaldata dal sole, liscia e glabra appoggiata su rocce ruvide e selvagge. Scene arcadiche in un paesaggio mediterraneo come poteva esserlo quello descritto da Ulisse, mentre, navigando, osservava le coste della Sicilia.
Ecco dunque che il dionisiaco di Mapplethorpe e l’apollineo di von Gloeden, la carnalità demoniaca e la purezza innocente, dialogano e si sovrappongono, in un coinvolgimento erotico e appagamento estetico. La carica sessuale filtrata dal classicismo.
Nudi sono anche i soggetti degli Alinari, non di pelle, ma di pietra. Gli Alinari fotografano le statue dell’antichità secondo una estetica deliberatamente congegnata, a partire da una idea classica di bello, e costruita magistralmente grazie alle nuove (per l’epoca) possibilità offerte dalla macchina fotografica.
“Per le sculture, gli Alinari scattano una sola immagine e quindi la individuazione del punto di vista appare davvero determinante". (Tratto da: Arturo Carlo Quintavalle “Gli Alinari”).
Ed è proprio grazie al potenziale di riproducibilità offerto dalla fotografia che le loro immagini si impongono nel mondo come modello, lo stesso modello a cui Mapplethorpe, “il ragazzo che amava Michelangelo”, si ispirava.
La scultura (e la pittura) classiche hanno influenzato la fotografia. E la fotografia se n’è appropriata per rielaborarle con i suoi mezzi, con il proprio linguaggio, per restituirli a sua volta all’arte.
Ciò che accomuna gli autori in mostra è l’esigenza, e la capacità, di piegare l’arte a una visione fotografica.
Una sezione della mostra è dedicata ai fiori, soggetto molto amato dagli autori. Sulle pareti, un bouquet di essenze floreali (che suggeriscono forme falliche o vaginali) fa da cornice a “Hypnos”, una celebre fotografia di von Gloeden in cui un giovane inghirlandato (Giacomo Lanfranchi, uno dei modelli del barone) fissa il visitatore con sguardo allampanato, stringendo tra le braccia due steli di datura (Brugmansia, detta anche Tromba dell'angelo), una pianta coltivata a scopo decorativo con effetti ipnotici e allucinogeni (l’antropina che contiene dilata le pupille).
Le assonanze compositive tra le fotografie di Mapplethorpe e degli Alinari sono tanto sorprendenti da renderne ardua l’attribuzione.
Quattro lastre di vetro negative originali di formato circa 18x24 sono esposte in mostra. Oggetti preziosi a testimonianza della perizia tecnica e stilistica del Barone von Gloeden, che spesso utilizzava, per le sue fotografie, apparecchi fotografici di grande formato, fino alle ingombranti lastre 30x40 cm con cui si arrampicava lungo i pendii impervi e selvaggi di Taormina.
Le lastre, retroilluminate, mettono in evidenza la peculiarità dei ritocchi - in alcuni casi dei dettagli minimi, altre volte delle vere e proprie pitture - con cui il fotografo interviene, al fine di ottenere delle stampe positive di particolare e suggestivo effetto «pittorico». Un tratto stilistico unico e originale che tuttavia, così dichiara il barone, si mantiene entro i limiti del linguaggio propriamente fotografico.